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ALZHEIMER. MENOPAUSA PRECOCE E TARDO AVVIO DELLA TERAPIA ORMONALE AUMENTANO IL RISCHIO

7 aprile – La terapia ormonale per la menopausa, se assunta contemporaneamente all’esordio di questa fase fisiologica nella vita di una donna, sembra ridurre il rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer. L’evidenza emerge da uno studio Usa pubblicato da Jama Neurology.

Andare in menopausa in età precoce potrebbe costituire un fattore di rischio per la malattia di Alzheimer; tuttavia, le donne che assumono una terapia ormonale appena entrano in menopausa non correrebbero lo stesso rischio. È quanto osservato in uno studio da un team del Mass General Brigham (Usa), i cui risultati sono stati pubblicati da Jama Naurology.

Le donne hanno una maggiore probabilità degli uomini di sviluppare la malattia di Alzheimer e rappresentano i due terzi dei pazienti con questa patologia. La menopausa precoce si manifesta in modo spontaneo prima dei 40 anni o a seguito di intervento chirurgico prima dei 45 anni. La terapia ormonale migliora molti dei sintomi correlati alla menopausa ed è stato ipotizzato che prevenga anche l’alterazione cognitiva.

Lo studio
Partendo da questa ipotesi, i ricercatori hanno analizzato i dati dal Wisconsin Registry for Alzheimer’s Prevention (WRAP), che contiene informazioni dettagliate su menopausa e uso di terapia ormonale, oltre che valutazioni di neuroimaging realizzate con la tecnica PET. Il team ha poi lavorato sui dati di 292 PET di adulti con alterazione cognitiva, per valutare i livelli delle proteine amiloide e tau in sette regioni del cervello.

Le donne presentavano effettivamente livelli di tau più alti rispetto a uomini della stessa età. I ricercatori, inoltre, hanno scoperto che l’associazione tra livelli normali di amiloide e tau era più forte tra le donne che erano andate precocemente in menopausa.

I livelli di tau erano più elevati nella regione entorinale e in quella temporale inferiore, che sono più vicine al ‘centro’ della memoria del cervello e che sono note per essere coinvolte nella progressione della demenza da malattia di Alzheimer.

Infine, le donne nel gruppo che avviavano tardi la terapia ormonale, oltre i cinque anni dopo la menopausa, presentavano un rischio più alto di demenza.

Fonte: JAMA Neurology 2023

 

Articolo tratto da: aogoi.it

Ossigeno vaginale più acido ialuronico sui sintomi genito-urinari delle sopravvissute al cancro al seno

Introduzione

Il cancro al seno è il tumore più diagnosticato al mondo con una stima di 2,3 milioni di nuovi casi nel 2020. il profondo ipoestrogenismo prodotto dalla terapia adiuvante endocrina fondamentale per la malattia oncologica, ha numerosi effetti avversi a breve e lungo termine. L’atrofia vaginale (VA) è una conseguenza diretta dell’ipoestrogenismo ed è caratterizzata da assottigliamento del rivestimento epiteliale della vagina, perdita di elasticità vaginale, secchezza vaginale e aumento del pH vaginale. A causa dell’ipoestrogenismo, i sintomi non si risolvono spontaneamente e influenzano negativamente la vita sessuale della donna. I sintomi dell’AV hanno un notevole impatto sulla qualità della vita delle donne affette da cancro al seno

 

Obiettivi

Questo studio mirava a valutare l’efficacia dell’ossigeno vaginale e dell’acido ialuronico sui sintomi genito-urinari delle sopravvissute al cancro al seno.

Metodi

I pazienti sono stati arruolati presso la clinica ambulatoriale per la menopausa di un ospedale universitario. Sono state incluse pazienti con cancro al seno in una relazione stabile, affette da atrofia vaginale (VA) conseguente a ipoestrogenismo. L’ossigeno naturale è stato introdotto nella vagina per 15 minuti, accoppiato negli ultimi 5 minuti con una soluzione al 2% di acido ialuronico. Il trattamento è stato ripetuto cinque volte, ogni 15 giorni.

Risultati

Dei 40 pazienti con carcinoma mammario arruolati, il 65% non ha avuto rapporti sessuali a causa del dolore. Durante il trattamento, il punteggio dell’indice di salute vaginale è gradualmente migliorato da 9,5 ± 2,2 a 16,8 ± 2,8 ( p  < 0,001), il punteggio della scala analogica visiva per la dispareunia è diminuito da 8,9 ± 1,3 a 3,4 ± 2,1 ( p  < 0,001) e la funzione sessuale femminile L’indice è aumentato da 8,6 ± 6,3 a 15,2 ± 8,1 ( p  <0,001). Alla fine del trattamento, solo il 15% delle donne ( p  = 0,001 rispetto al pretrattamento) non ha avuto rapporti sessuali a causa del dolore. I benefici sono rimasti 30 giorni dopo l’ultimo trattamento.

Conclusione

L’ossigenazione vaginale unita all’acido ialuronico ogni 15 giorni migliora la VA, la sessualità ei sintomi urinari delle pazienti affette da cancro al seno. Oltre alla conferma dei dati, sono necessari ulteriori studi per determinare il miglior intervallo tra i trattamenti, la durata ottimale del trattamento e la durata a lungo termine dei benefici.

 

 

Articolo tratto da: https://www.tandfonline.com/

Prof. Angelo Cagnacci

C. Massarotti, C. Asinaro, M.G. Schiaffino, C. Ronzini, I. Vacca, M. Lambertini, P. Anserini, L. Del Mastro & A. Cagnacci

Tiroidite di Hashimoto, i rimedi naturali da considerare

Chi soffre di questa patologia autoimmune della tiroide può beneficiare di correzioni della dieta e dello stile di vita. In più, si rivelano preziosi alcuni nutraceutici

La tiroidite di Hashimoto è uno dei disturbi che più frequentemente colpiscono la tiroide, ghiandola da cui dipendono il metabolismo e molte funzioni vitali.

Si tratta di una patologia autoimmune: il sistema immunitario aggredisce cellule dell’organismo stesso, nella fattispecie quelle appunto della tiroide. Questo fenomeno, alla lunga, provoca la distruzione del tessuto tiroideo, con la riduzione, fino alla perdita, della capacità di secernere ormoni, una condizione definita ipotiroidismo. Quando la produzione ormonale tiroidea viene meno, si interviene dall’esterno, somministrando un ormone di sintesi, la levotiroxina sodica (in vendita con diversi nomi commerciali: Eutirox, Tirosint, Tiche ecc.), uguale all’ormone T4 prodotto naturalmente dalla tiroide.

Anche qui sul blog, ho già parlato altre volte di come adottare una dieta personalizzata e introdurre intelligenti abitudini – tra cui la pratica pressoché quotidiana di un’attività fisica aerobica a intensità moderata e l’apprendimento di tecniche di gestione dello stress – possa in molti casi aiutare a modulare il livello di autoanticorpi e a frenare la perdita di funzionalità tiroidea di chi soffre di tiroidite di Hashimoto.

Oggi voglio porre l’attenzione su particolari nutraceutici che tengo sempre in considerazione nel momento in cui fornisco le mie raccomandazioni nutrizionali ai pazienti con tiroidite cronica autoimmune.

Selenio È probabilmente il minerale più importante per chi ha la tiroidite di Hashimoto. Oltre a essere un potente antiossidante, il selenio infatti ha la capacità di diminuire il livello di anticorpi anti-tiroide.

Zinco Ideale compagno del selenio – e di cui infatti suggerisco l’utilizzo in sinergia -, lo zinco è in grado di migliorare la funzionalità della tiroide nelle persone con ipotiroidismo.

Vitamina D Chi soffre di tiroidite di Hashimoto tende ad avere concentrazioni più basse di vitamina D, micronutriente cruciale nella regolazione del sistema immunitario.

Omega 3 Gli acidi grassi semiessenziali della serie omega 3 chiamati EPA e DHA possiedono una documentata azione antinfiammatoria, da ricercare avidamente in caso di patologie autoimmuni, considerato il ruolo che l’infiammazione cronica ha nel creare danni ai tessuti.

Curcuma Completa questo ideale quintetto la curcuma o meglio ancora la curcumina, il più importante principio attivo contenuto in Curcuma longa, spezia dalle proprietà antinfiammatorie proveniente dall’Oriente, che in anni recenti ha acquisito straordinaria popolarità anche da noi. La curcuma non dovrebbe mancare nel trattamento naturale integrato di tutte le malattie autoimmuni.

Ci sono senz’altro molte ulteriori opzioni naturali che possono essere utili a chi soffre di tiroidite di Hashimoto, ma selenio, zinco, vitamina D, omega 3 e curcumina sono, nella mia esperienza, le prime tra quelle da considerare.

 

Articolo tratto da: confidenze.com

Di Luca Avoledo • in NATURA • 21 Febbraio 2023

Terapia forestale e salute mentale

Il concetto di terapia forestale si sviluppa in Giappone a partire dallo studio del fenomeno del karōshi, termine nato nella cultura nipponica ad indicare la “morte per il troppo lavoro”.

Già a partire dagli anni ottanta, l’Agenzia Forestale giapponese propone una nuova soluzione, il Shinrin-yoku (letteralmente “foresta-bagno”), attività consistente in una profonda immersione nella natura che stimoli l’attenzione consapevole della mente e dei cinque sensi. La pratica prevede l’ascolto dei rumori di un bosco, l’osservare la luce, le sfumature dei colori e il respirarne i profumi; tutte azioni, queste, volte a stabilire un contatto con il contesto naturale della foresta in cui ci si trova immersi per tutta la durata della pratica.
Suddetti studi si riferiscono prevalentemente alla frequentazione libera delle foreste, in assenza di eccezionali sforzi fisici; in questo contesto si parla di bagno di foresta, o forest bathing, derivato dal già citato Shinrin-yoku. La cosiddetta terapia forestale è invece un’attività molto più strutturata, dove la guida di personale formato è elemento fondamentale, così come programmi a lungo termine che prevedano ripetute sessioni in foresta, talvolta dirette a specifici gruppi. L’esposizione alla foresta riduce l’attivazione del sistema nervoso simpatico – responsabile della risposta attacco o fuga – e aumenta quella del sistema parasimpatico, generando uno stato complessivamente più rilassato. La regolazione del sistema nervoso autonomo è inoltre responsabile di una regolarizzazione della pressione sanguigna e della variabilità della frequenza cardiaca (Ideno et al., 2017). Questi risultati sono particolarmente importanti, considerando che i disturbi cardiovascolari rientrano tra i problemi di salute attualmente più presenti nella popolazione, e importante causa di morte e disabilità in tutto il mondo (Han et al, 2020).

Dagli studi emerge un particolare meccanismo omeostatico, dipendente dall’immersione in foresta, che regolarizza parametri eccessivamente elevati o, al contrario, inferiori alle soglie minime indicate, in termini di pressione sanguigna e battito cardiaco. È interessante notare come tali aggiustamenti fisiologici si registrino solo in aree forestali, mentre questo, a parità di esercizio fisico, non accade in aree urbane (Song et al., 2015). L’insieme di questi effetti promuove inoltre il miglioramento della qualità del sonno, con riduzione dei momenti di veglia dall’inizio del sonno e il leggero aumento del tempo totale di riposo (Grigsby-Toussaint et al., 2015; Kim et al., 2019). Come si vedrà, il contatto con la natura favorirebbe la riduzione dell’incidenza di alcune psicopatologie, spesso collegate ad alcuni fattori di rischio già citati, quali la deprivazione di sonno e lo stress cronico. Anche il sistema endocrino beneficia dell’azione di ambienti naturali, generando a sua volta effetti sul sistema immunitario in modo indiretto, con conseguenze sui livelli di alcuni ormoni, come cortisolo, adrenalina, noradrenalina, serotonina e dopamina (Antonelli et al., 2019; Park et al., 2020). Il responsabile di questa rete di regolazioni reciproche è il sistema psico-neuro-immuno-endocrino, che descrive l’influenza di fattori psicologici che possono agire sulla funzionalità del sistema immunitario.
Si è visto che lo stress, se nel breve termine aumenta la forza della risposta immunitaria, quando diventa cronico è invece responsabile dell’abbassamento delle difese immunitarie (Segerstrom & Miller, 2004). Secondo la letteratura, lo stress interferisce con l’attività dei linfociti, aumentando così la vulnerabilità a infezioni virali e batteriche (Dhabhar, 2011). Si tratta di un problema quanto mai attuale, connesso ai ritmi troppo spesso estenuanti che la società moderna impone. A questo proposito, l’Associazione Psicologica Americana ritiene che lo stress cronico sia collegato alle sei principali cause di morte (malattie cardiache, cancro, malattie polmonari, incidenti, cirrosi epatica e suicidio). Tuttavia, si può tentare di trovare delle soluzioni. Una di queste è rappresentata dal contatto con la natura.

Da ulteriori studi emerge come il sistema immunitario possa beneficiare dell’immersione in natura, esperienza che favorirebbe la produzione e l’attività dei linfociti NK o natural killer: si tratta di cellule del sistema immunitario che sono responsabili del riconoscimento e della distruzione di cellule tumorali, danneggiate oppure infettate da virus (Tsao et al., 2018). Da alcuni studi emerge chiaramente come i disturbi mentali siano prevalenti nella popolazione delle aree urbane; questo è particolarmente vero per i disturbi d’ansia e quelli depressivi (Weich et al., 2006). Un intervento nella direzione del contatto con ambienti naturali dev’essere allora particolarmente sollecitato in tali contesti. Tuttavia, nonostante gli indubbi benefici che la terapia forestale possa portare, questo concetto è ancora relativamente nuovo in molti paesi. La maggior parte delle ricerche sta avendo luogo in Giappone, dove l’enfasi si è sposata anche su prospettive psicologiche e psicosociali. Diversi studi effettuati su giovani universitari dimostrano che sia sufficiente un periodo di tempo di 15 minuti trascorso in ambienti forestali per ottenere benefici dal punto di vista del miglioramento dell’umore e di rigenerazione da fatiche mentali (Bielinis et al., 2018), mostrando come idealmente basti un minimo sforzo individuale per migliorare il proprio benessere. Tali risultati sono visibili soprattutto in soggetti con tendenze depressive (Furuyashiki et al., 2019).
Un’altra ricerca sottolinea che anche i sintomi di depressione, ansia e stress si abbassano notevolmente in seguito a programmi di terapia forestale, in questo caso della durata di cinque settimane consecutive (Vujcic & Tomicevic-Dubljevic, 2018). Di recente il Club Alpino Italiano (CAI), in collaborazione con il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e il CERFIT di Firenze ha ripreso questo tema al fine di ottimizzare i potenziali benefici derivabili dagli ambienti forestali afferenti al CAI. Con il progetto congiunto CAI-CNR “Terapia Forestale” ci si pone l’obiettivo di sviluppare una rete di stazioni qualificate destinabili a sessioni di terapia forestale. Le evidenze scientifiche dimostrano come l’applicazione della terapia forestale sia in grado di riequilibrare il sistema nervoso autonomo, modificando alcuni parametri fisiologici e migliorando l’umore, con la riduzione dei maggiori stati emotivi negativi legati ad ansia, rabbia, ostilità, depressione, fatica e confusione. Il contributo di alcune ricerche sui notevoli effetti benefici anche sul sistema immunitario apre la strada alla concreta possibilità di introdurre il mondo occidentale all’utilizzo delle prescrizioni verdi, strumento già ampiamente in uso in paesi asiatici.

Antonelli, M., Donelli, D., Barbieri, G., Valussi, M., Maggini, V., & Firenzuoli, F. (2020). Forest Volatile Organic Compounds and Their Effects on Human Health: A State- of-the- Art Review. International Journal of Environmental Research and Public Health, 17(18), 6506.
Kanai, A. (2009). “Karoshi (Work to Death)” in Japan. Journal of Business Ethics, 84(S2), 209-216.
Song, C., Ikei, H., & Miyazaki, Y. (2019). Physiological effects of forest-related visual, olfactory, and combined stimuli on humans: An additive combined effect. Urban Forestry & Urban Greening, 44, 126437.
Vries, S. de, Have, M. ten, Dorsselaer, S. van, Wezep, M. van, Hermans, T., & Graaf, R. de. (2016). Local availability of green and blue space and prevalence of common mental disorders in the Netherlands. BJPsych Open, 2(6), 366-372.

Tania Re
Cattedra Unesco “Antropologia della Salute, Biosfera e Sistemi di Cura” – Università degli Studi di Genova

Vittoria Varetti
Specializzanda in Psicologia Clinica e di Comunità – Università degli Studi di Torino

 

Articolo tratto da: Farmacista33

Salute e sport della donna: poca attenzione dai club di calcio a ciclo e gravidanza

Aumentare la sensibilizzazione verso ciclo mestruale e gravidanza nel mondo dello sport, soprattutto nel calcio femminile agonistico. A chiederlo è un gruppo di esperti che ha pubblicato un’indagine condotta tra diversi club europei di calcio femminile in sei Paesi, che mostra che l’educazione su ciclo mestruale, contraccezione ormonale e gravidanza è gravemente carente.

Lo studio, guidato dall’Università di Staffordshire, nel Regno Unito, e pubblicato su Sport in Society, ha coinvolto più di 11mila giocatrici, allenatori e manager da club di livello in Bulgaria, Inghilterra, Finlandia, Francia, Polonia e Spagna.

Dai risultati dell’indagine è emerso che argomenti quali ormoni ovarici e loro effetti su allenamento e performance, insieme a gravidanza e post partum, sembrano ricevere poca considerazione da parte delle società sportive. Nonostante qualche buona pratica, nei club vi erano, infatti, limitate conoscenze e comprensione di come ormoni, ciclo mestruale, gravidanza hanno un impatto su allenamento, performance e salute della donna e le conoscenze, generalmente, vengono affidate alle singole donne.

In particolare, il 69% delle partecipanti, ha dichiarato che presso i club in cui militano, non viene fornita “per niente” una formazione sul ciclo mestruale e mentre alcune squadre monitorano il ciclo mestruale delle giocatrici, questo aspetto è variabile.

Inoltre, parlare agli allenatori del ciclo mestruale è difficile per alcune giocatrici, dal momento che questi sono principalmente di sesso maschile e le donne riferiscono di non essere capite. In modo simile, il 77% delle intervistate ha riferito di non aver avuto alcuna informazione sulla contraccezione ormonale e il 64% di non aver ricevuto alcuna attività formativa sulla gravidanza. Infine, solo il 5% era a conoscenza di politiche dei club su gravidanza, maternità e responsabilità verso la cura dei bambini.

 

Articolo tratto da: popsci.it

Gravidanza: nascita pretermine collegata a metaboloma della vagina

20 gennaio – Le nascite pretermine possono essere indotte da una serie di composti chimici, estranei all’organismo, che si accumulano nelle vagine delle gestanti. Questi composti chimici sono definiti xenobiotici e si possono trovare nei prodotti cosmetici o di igiene personale.

 

Una serie di composti chimici che si accumulano nella vagina, e che potrebbero derivare dai prodotti per l’igiene personale, può contribuire alla nascita pretermine nelle donne in attesa. E’ quanto osservato da uno studio pubblicato da Nature Microbiology, condotto da un team del Columbia University Irvine Mediacl Center (USA).

La nascita si definisce pretermine quando il neonato viene alla luce prima di 37 settimane di gravidanza; è la principale causa di morte neonatale è può causare una serie di problemi nel corso della vita del neonato. Circa due terzi delle nascite pretermine avviene spontaneamente e non ci sono metodi per predire o prevenire questa condizione.

Lo studio

Il team di ricerca ha concentrato la propria attenzione sul metaboloma della vagina, il set completo di molecole, compresi i metaboliti, prodotti da cellule e microorganismi a livelli locale, e molecole e composti che provengono da fonti esterne. I ricercatori hanno identificato, così, più di 700 diversi metaboliti nel metaboloma del secondo trimestre di gravidanza di 232 donne incinte, di cui 80 sono andate incontro a parto pretermine.

Diversi metaboliti sono risultati essere composti chimici non prodotti dall’uomo o da microbi, denominati xenobiotici perché estranei all’organismo, come dietanolamine, etil-beta glucoside, tartaro e acido etilenediaminotetracetico, che si possono trovare in prodotti cosmetici o di igiene personale.

Attraverso l’apprendimento automatico, il team ha sviluppato un algoritmo, basato sui livelli di metaboliti, in grado di predire la nascita pretermine con un buon grado di accuratezza, aprendo così la strada ad una potenziale diagnosi precoce del rischio parto prematuro.

 

Fonte: Nature Microbiology 2023

Atrticolo tratto da: Aogoi.it

Dismenorrea primaria: revisione sistematica su uso di estratti di cannella, finocchio e zenzero

TAGS: DISMENORREAESTRATTI VEGETALIFITOTERAPIA

Questo studio, attraverso una revisione sistematica della letteratura, ha verificato l’efficacia degli estratti di cannella (Cinnamomum verum Presl), finocchio (Fœniculum vulgare), zenzero (Zingiber officinale Roscoe) per il trattamento della dismenorrea primaria.
Sono stati selezionati nove studi per un totale di 647 pazienti. Rispetto ai risultati nel gruppo di controllo, l’intensità del dolore è stata significativamente ridotta nel gruppo di intervento (cannella vs. placebo: WMD = 1.815, 95% CI = 1.330-2.301; finocchio vs. placebo: WMD = 0.528, 95% CI = 0,119-6,829; zenzero vs. placebo: WMD = 2,902, 95% CI = 2,039-3,765).
La durata del dolore è stata significativamente più breve nel gruppo di trattamento con cannella (cannella vs. placebo: WMD = 16.200, 95% CI = 15.271-17.129). Gli autori hanno quindi concluso che per la dismenorrea primaria, il trattamento con estratti di cannella, finocchio e zenzero è in grado di ridurre efficacemente l’intensità del dolore e, in particolare, l’estratto di cannella è stato in grado di ridurre significativamente anche la durata del dolore.

Yincong Xu , Qinglin Yang , Xiaoping Wang. Efficacy of herbal medicine (cinnamon/fennel/ginger) for primary dysmenorrhea: a systematic review and meta-analysis of randomized controlled trials. J Int Med Res. 2020 Jun 48(6).

Vittorio Mascherini
CERFIT, AOU Careggi

 

Articolo tratto da: Farmacista33

COSA IMPARARE DALL’ AVER BEVUTO TROPPO!

Vi raccontiamo una storia che riguarda “le sbronze”, non per abbandonare il filone dell’anti-age o, se preferite, del come farvi invecchiare nel modo più lento possibile e rimanendo in salute; lo facciamo perché ci aiuta a introdurre il ruolo del detox e della lunghezza dei telomeri.

Se vi siete mai svegliati con un mal di testa martellante, nausea e vertigini dopo aver bevuto un bicchiere (o due) di troppo la sera prima, potreste sentirvi come se steste morendo! Naturalmente, sapete anche che i sintomi di una sbornia passano presto e che già la sera potrete sentirvi voi stessi. Ma secondo la FDA americana (ente che regola l’immissione in commercio dei farmaci), se avete i postumi di una sbornia, non vi sentite solo male. Avete una malattia… Non potremmo inventarci queste fiabe nemmeno se ci provassimo. All’inizio di quest’anno, nei loro sforzi senza fine per impedire ai produttori di integratori di offrire soluzioni sicure, naturali e testate, il governo federale ha etichettato il temuto “giorno dopo” una malattia. E, naturalmente, ai loro occhi, solo un farmaco Big Pharma può curare una malattia. Il loro obiettivo era quello di vietare la vendita dell’antiossidante N-acetil-cisteina (NAC).

Sicuramente voi conoscete già questo potente aminoacido:

➤ Aumenta la salute del cervello nei pazienti di Alzheimer1

➤ Allevia i sintomi del morbo di Parkinson 2

➤ Stabilizza lo zucchero nel sangue migliorando la resistenza all’insulina3

➤ Eleva la telomerasi per allungare i telomeri4

➤ Migliora le condizioni di salute mentale5

➤ Allevia i sintomi della BPCO e aiuta a prevenire il declino polmonare6

Ma aiuta anche a ridurre i sintomi della sbornia. Questo perché NAC si lega a una super tossina nel fegato chiamata acetaldeide. Questo sottoprodotto del metabolismo dell’alcol è una delle principali cause dei postumi di una sbornia. La maggior parte delle persone pensa che si finisce con una sbornia a causa degli effetti diuretici dell’alcol. Ma la disidratazione è solo l’inizio. L’etanolo, l’alcol nelle bevande, innesca una reazione infiammatoria nel corpo. Ma i peggiori sintomi di sbornia provengono dal tentativo del vostro organismo di sbarazzarsi dell’etanolo usando una super-tossina chiamata acetaldeide. Fondamentalmente, il vostro corpo viene spaventato dall’alcol nel sangue. Quindi invia radicali liberi per neutralizzare il pericolo. Questo non è un problema quando avete bevuto uno o due drink. Ma se continuiate a bere, i radicali liberi continuano ad arrivare. Nello sforzo disperato di controllare questo assalto, il fegato produce acetaldeide prima che venga eliminato dal sistema. L’acetaldeide è la causa principale di tutti i postumi di una sbornia. Si stima che questo pericoloso sottoprodotto dell’alcol sia tra 10 e 30 volte più tossico dell’etanolo stesso. 7 In effetti, è così tossico che non rimane a lungo nell’organismo. Ed è per lo più sparito quando inizia la sbornia. Ma i ricercatori ritengono che siano i terribili postumi dell’acetaldeide che causano sintomi come sonnolenza, secchezza delle fauci, vertigini, nausea, vomito, mal di testa, battito cardiaco accelerato e ansia. NAC elimina i sintomi della sbornia aumentando la produzione di glutatione nel corpo. Il glutatione è necessario per abbattere l’acetaldeide fondamentalmente è la sostanza, nel fegato, deputata a disintossicarci. Sfortunatamente, le riserve di glutatione del fegato si esauriscono rapidamente quando si consumano grandi quantità di alcol. E questo lascia l’acetaldeide nell’organismo per molto tempo. Reintegrare i livelli di glutatione è vitale per ridurre gli effetti di una sbornia. E l’integrazione con NAC è un modo sicuro per riportare i livelli in alto. E gli studi confermano queste affermazioni… In uno studio, i ricercatori hanno scoperto che l’infiammazione causata dai radicali liberi è stata significativamente ridotta quando ai ratti è stato somministrato NAC con alcol. 8 Un altro studio ha anche riscontrato una riduzione dell’infiammazione nel cervello dei ratti quando gli animali sono stati trattati con NAC. 9 Un terzo studio sull’uomo è stato effettuato presso l’Università di Helsinki in Finlandia. I ricercatori hanno dato a 19 volontari maschi bevande alcoliche per tre ore, seguite da NAC o un placebo. I ricercatori hanno scoperto che non solo il NAC ha diminuito o addirittura eliminato completamente i postumi di una sbornia, ma ha anche “ridotto la necessità di bere il giorno successivo”, riducendo così il rischio di dipendenza da alcol. 10 Fortunatamente, la FDA non l’ha fatta franca con lo sforzo di vietare il NAC. Almeno, non ancora… E vale sicuramente la pena averne un po ‘in casa se pensate di potervi trovare nella situazione di averne bevuto “uno di troppo”. Suggeriamo di assumerne 1.200 mg. Questa è la quantità utilizzata nello studio di Helsinki. Buona salute

Chiara Saggioro, BSci, PhD.

Alfredo Saggioro, MD.

Per sapere di più:

  1. Costa m, et al. “N-acetylcysteine protects memory decline induced by streptozotocin in mice.” Chem Biol Interact. 2016 Jun 25;253:10-7. 2. Monti DA, et al. “N-acetyl cysteine is associated with dopaminergic improvement in Parkinson’s disease.” Clin Pharmacol Ther. 2019 Oct;106(4):884-890. 3. Fulghesu, A. M., Ciampelli, M., Muzj, G., Belosi, C., Selvaggi, L., Ayala, G. F., & Lanzone, A. (2002). N-acetyl-cysteine treatment improves insulin sensitivity in women with polycystic ovary syndrome. Fertility and sterility, 77(6), 1128–1135. https://doi.org/10.1016/s0015-0282(02)03133-3 4. Ma Y, et al. “N-acetylcysteine protects mice from high fat diet-induced metabolic disorders.” Pharm Res. 2016;33(8):2033-2042 5. Minarini A, et al. “N-acetylcysteine in the treatment of psychiatric disorders: current status and future prospects.” Expert Opin Drug Metab Toxicol. 2017 Mar;13(3):279-292. 6. Pirabbasi E, et al. “Efficacy of ascorbic acid (vitamin c) and/n-acetylcysteine (nac) supplementation on nutritional and antioxidant status of male chronic obstructive pulmonary Disease (COPD) patients.” J Nutr Sci Vitaminol (Tokyo). 2016;62(1):54-61. 7. Ashurst JV, Nappe TM. Methanol Toxicity. [Updated 2022 Jun 21]. In: StatPearls [Internet]. Treasure Island (FL): StatPearls Publishing; 2022 Jan-. 8. Ozaras R, et al. “N-acetylcysteine attenuates alcohol-induced oxidative stress in he rat.” World J Gastroenterol. 2003 Jan 15; 9(1): 125–128. 9. Schneider R, et al. “N-acetylcysteine Prevents Alcohol Related Neuroinflammation in Rats.” Neurochem Res. 2017 Aug;42(8):2135-2141. 10. Eriksson C, et al. “L-Cysteine containing vitamin supplement which prevents or alleviates alcohol-related hangover symptoms: nausea, headache, stress and anxiety.” Alcohol Alcohol. 2020 Oct 20;55(6):660-666.

 

Articolo tratto da: medicina funzionale.org

ATROFIA VULVO VAGINALE, COS’E’ E COME TRATTARLA

L’atrofia vulvo vaginale è una problematica molto frequente nelle donne in menopausa, si stima che colpisca una donna su due.

Alcune volte può interessare donne più giovani, specie dopo il parto. E’ accompagnata da sintomi quali prurito, irritazione, secchezza, problemi di incontinenza e dolore ai rapporti.

Per la cura di queste problematiche possiamo ricorrere a trattamenti locali con creme a base di acido jaluronico, idratanti ed emollienti. Anche l’igiene intima con deolatti detergenti riveste un ruolo importante.

Si può ricorrere a terapia ormonale sostitutiva locale con estriolo, testosterone e DHEA. Ho la possibilità di formulare preparati galenici molto efficaci costruiti “su misura”.

In alcuni casi però la terapia ormonale non è possibile. C’è la possibilità di intraprendere un percorso personalizzato di RIEDUCAZIONE del PAVIMENTO PELVICO in collaborazione con una fisioterapista preparata sul trattamento del piano perineale.

Tra le soluzioni tecnologiche un’ottima possibilità terapeutica c’è fornita da un’apparecchiatura basata sulla sinergia di due elementi naturali: OSSIGENO e ACIDO JALURONICO.

L’ossigeno ha azione antinfiammatoria e antibatterica e inoltre stimola i fibroblasti a produrre collagene, elastina e acido jaluronico.

E’ altamente concentrato e ciò ne facilita la diffusione attraverso la mucosa vaginale e perivulvare con riattivazione delle funzioni metaboliche e del microcircolo.

L’acido jaluronico ha un potere idratante e mantiene il turgore.

Nel nostro studio abbiamo a disposizione delle pazienti l’apparecchiatura Caress Flow.

 

SE L’OVAIO E’ POLICISTICO E’ COLPA DEL MICROBIOTA

E’ stata individuata una correlazione significativa tra gli squilibri del microbiota intestinale, i disordini metabolici, l’obesità e l’insorgenza della sindrome dell’ovaio policistico (PCOS).

Attraverso l’analisi di vari studi scientifici che hanno indagato la composizione microbica intestinale nelle persone affette da PCOS, in confronto con soggetti sani, sono emerse differenze evidenti che suggeriscono un legame che non può di certo essere casuale, bensì causale.

Una conclusione a cui si è giunti attraverso una revisione della letteratura condotta da scienziati cinesi che è stata pubblicata sulla rivista Reproductive Sciences nel gennaio del 2022, svolta includendo 10 studi e 256 citazioni, per un totale di 611 pazienti monitorati (inclusi vari gruppi di controllo).

La sindrome dell’ovaio policistico è un disturbo endocrino-metabolico tra i più comuni e che causa, in alcuni casi, disfunzione mestruale e infertilità nelle donne. Di sicuro, lo sviluppo di questa malattia può essere condizionato da cause genetiche, neuroendocrine e metaboliche, ma vari studi hanno portato a dimostrare che anche la salute del microbiota intestinale può giocare un ruolo chiave nella sua patogenesi.

In particolare, una diminuzione della biodiversità del microbiota intestinale e la variazione della concentrazione di alcuni batteri (come quelli Bacteroidaceae, Coprococcus, Bacteroides, Prevotella, Lactobacillus, Parabacteroides, Escherichia, Shigella e Faecalibacterium) sono associate alla presenza di PCOS. Tutto questo senza considerare gli effetti negativi indiretti di alcune patologie metaboliche – a loro volta condizionate dalla disbiosi intestinale – sulla patogenesi della sindrome PCOS e sulla salute in generale di queste persone.

Gli autori della revisione dicono comunque che sarà necessaria un’analisi più approfondita che coinvolge un numero maggiore di pazienti, perché non è ancora del tutto chiaro se la disbiosi intestinale sia la causa o la conseguenza della PCOS, ossia in che verso sia da considerarsi il rapporto di causalità.

Allo stesso modo sarà interessante stabilire se ci siano batteri specifici che più di altri incidano sull’insorgenza della malattia e del suo sviluppo.

 

Fonte: https://pubmed.ncbi.nml.nih.gov/33409871/

Articolo tratto da: Faromed.it