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Massa e forza muscolare: le insidie della sarcopenia per la nostra salute

L’invecchiamento non è amico dei nostri muscoli. Già a partire dai 40 anni, soprattutto nei soggetti sedentari, inizia a farsi strada la sarcopenia, una condizione caratterizzata dalla perdita progressiva di massa e forza muscolare (atrofia muscolare). Essa comporta sia un decadimento della forza che cambiamenti metabolici ed estetici sul nostro corpo.

Molti studi scientifici hanno messo in evidenza i primi segni di atrofia muscolare attorno ai 40 anni, periodo nel quale comincerebbe un lento declino funzionale.

Con l’affacciarsi della sarcopenia, inizia anche un abbassamento del dispendio energetico a riposo (metabolismo basale) anticamera dell’accumulo di grasso. Un fenomeno ulteriormente aggravato quando il regime alimentare è deficitario dal punto di vista dell’apporto proteico di qualità.

L’importanza di allenamento specifico e alimentazione

Come alcuni studi dimostrano, grazie a un allenamento specifico, la massa muscolare può essere mantenuta o addirittura aumentata anche dopo i 40 anni.

Non si tratta quindi di un mero fatto estetico: perdere muscoli significa non solo avere un corpo meno tonico ma soprattutto perdere autonomia e qualità della vita, favorendo lo sviluppo di patologie importanti.

Ma non tutto è perduto: ci sono diverse strategie e attività che possono aiutare a combattere la sarcopenia e a promuovere la salute muscolare.

Ecco alcune principali raccomandazioni da parte degli esperti

Esercizio fisico. L’esercizio regolare, in particolare l’allenamento di resistenza, è fondamentale per prevenire la sarcopenia. L’allenamento con i pesi o l’uso di macchine di resistenza aiuta a stimolare la crescita muscolare e il mantenimento della massa muscolare. La frequenza consigliata degli esercizi di resistenza è almeno due volte alla settimana, lavorando su tutti i principali gruppi muscolari.

Alimentazione adeguata. Una dieta equilibrata e ricca di nutrienti è importante per sostenere i nostri muscoli. Per questo è importante consumare una quantità sufficiente di proteine, i mattoni fondamentali per la costruzione e il mantenimento dei muscoli. Non possono quindi mancare fonti di proteine di alta qualità come carne magra, pesce, uova, latticini, legumi e noci. Ma anche una varietà di frutta, verdura e cereali integrali per fornire vitamine, minerali e antiossidanti che promuovono la salute muscolare.

Integrazione alimentare. Se l’alimentazione è carente di alcuni nutrienti, in alcuni casi può essere raccomandato l’apporto di integratori alimentari per sostenere la salute muscolare. Ad esempio le proteine, oppure la creatina per migliorare la forza muscolare e l’energia durante l’allenamento di resistenza.

Equilibrio fra attività fisica e riposo. Mentre l’esercizio regolare è importante, è altrettanto fondamentale concedere al corpo il giusto riposo e recupero. Durante il riposo, i muscoli si rigenerano e si riparano, favorendo la crescita e il mantenimento della massa muscolare. Assicurarsi di avere una buona qualità del sonno e di includere giorni di riposo attivo nella routine di allenamento.

Mantenere uno stile di vita attivo. Oltre all’allenamento strutturato, è importante mantenere uno stile di vita attivo nel quotidiano. Svolgere attività fisiche come camminare, salire le scale e fare giardinaggio può aiutare a stimolare l’attività muscolare e contrastare la sarcopenia

 

Fonte: Agemony

GRAVIDANZA. CON UN DIETOLOGO SI PRENDE MENO PESO

Da un’ampia analisi degli studi presenti in letteratura, è emerso che l’aumento di peso non fisiologico in gravidanza può essere meglio controllato con l’aiuto di un dietologo. La supervisione di un dietologo ha fornito maggiori evidenze di efficacia anche rispetto all’attività fisica, che comunque rimane consigliata, soprattutto se praticata in modo continuativo.

Le donne in gravidanza dovrebbero essere supportate da esperti in nutrizione per controllare l’aumento di peso e farlo rimanere nei limiti fisiologici. È la conclusione cui è giunta un’analisi che ha preso in considerazione quasi 100 studi pubblicati in letteratura. I risultati dell’indagine, coordinata da Shakila Thangaratinam dell’Università di Birmingham, nel Regno Unito, sono stati pubblicati da JAMA Network Open.

La metanalisi ha compreso quasi 35mila partecipanti e ha rilevato che gli interventi di professionisti sanitari come i dietologi sono gli strumenti più utili per controllare l’aumento di peso durante la gestazione. In particolare, sono raccomandabili tra i 6 e i 20 incontri individuali con l’esperto di nutrizione; queste sessioni devono prendere in considerazione anche elementi pratici della gravidanza, come la nausea – che può influenzare il corretto consumo degli alimenti – le “voglie” e la stanchezza.

Nell’analisi della letteratura il team ha evidenziato meno evidenze positive sull’attività fisica nella gestione del peso durante la gravdanza; in ogni caso un programma di esercizi motori deve essere seguito per più di 20 settimane.

“L’aumento di peso durante la gravidanza è un processo normale – conclude Thangaratinam – ma la convinzione che le mamme debbano mangiare per due e che non debbano preoccuparsi dell’aumento di peso può portare a conseguenze dannose per la salute di madre e bambino”.

L’eccessivo aumento di peso, infatti, porta a un maggior rischio di sviluppare diabete e altre complicanze.

 

Fonte: JAMA Network Open 2023

Evoluzione della natalità e cause di infertilità

Record negativo per la natalità in Italia: nel 2021 i nati sono 400.249, facendo registrare un calo dell’1,1% rispetto all’anno precedente. Le stime per il 2022 non sembrerebbero mostrare dati più confortanti, indicando un decremento di 6.000 nascite nei mesi di gennaio-settembre

Sicuramente la variabile età riveste un ruolo chiave nell’evoluzione della natalità, infatti, si diventa genitori sempre più tardi, a causa di crisi (economiche, pandemiche) che hanno influito sulle scelte riproduttive della popolazione italiana. Nel periodo gennaio-ottobre 2021 la contrazione delle nascite ha riguardato soprattutto le donne in età più giovane, fino a 24 anni, e quelle in età avanzata (over 45 anni).

Per queste ultime si è assistito, nel bimestre novembre-dicembre 2021 a un picco che può essere correlato alla possibilità di aver potuto accedere alla procreazione medicalmente assistita (PMA), inibita nel periodo pandemico. 

Le indicazioni di infertilità per le coppie trattate con tecniche PMA di I e II livello, nel 2020, sono state le seguenti:

  • infertilità femminile: 44,1%
  • infertilità maschile: 20,2%
  • fattore sia maschile che femminile: 18,2%
  • fattore genetico: 1,2%
  • infertilità idiopatica: 16,3%

 

Principali tecniche di PMA

Le tecniche di procreazione medicalmente assistita possono essere suddivise in tre livelli, in base al grado di invasività della tecnica stessa. Di seguito una breve descrizione delle principali tecniche impiegate nei centri.

 

I LIVELLO

Inseminazione Intra Uterina (IUI): introduzione del seme maschile nella cavità uterina. La tecnica è eseguibile su ciclo spontaneo o su ciclo indotto mediante stimolazione farmacologica dell’ovulazione.

 

II LIVELLO

FIVET (Fecondazione in vitro e trasferimento dell’embrione). La tecnica prevede l’esecuzione delle seguenti fasi:

  1. stimolazione farmacologica delle ovaie
  2. prelievo degli ovuli
  3. fecondazione degli ovuli
  4. crescita dell’embrione in laboratorio
  5. impianto dell’embrione nell’utero

ICSI (Iniezione intracitoplasmatica di sperma): prevede l’iniezione di un solo spermatozoo in ciascun ovulo

FER: fecondazione con utilizzo di embrioni crioconservati

FO: fecondazione con utilizzo di ovociti crioconservati

 

III LIVELLO

GIFT (Trasferimento intratubarico dei gameti): prelievo di ovuli e spermatozoi attivi e successivo trasferimento nell’estremità della tuba di Falloppio mediante un’incisione nell’addome o attraverso la vagina.

 

Stato dell’Assisted Reproductive Technology

Dall’ultima relazione del Ministro della salute al Parlamento sullo stato di attuazione della Legge 40 del 2004 si ricava una fotografia dei dati inerenti alle tecniche di fecondazione assistita, con riferimento all’anno 2020. 

I centri attivi in Italia risultano essere 322 di cui 101 pubblici, 20 privati convenzionati e 211 privati. Il maggior numero di essi si trova in Lombardia (55), Campania (42), Lazio (34), Sicilia (34) e Veneto (34).

Il merito alle coppie che hanno fatto ricorso a tecniche di PMA, si assiste a una contrazione del -16% rispetto al 2019 portando il totale delle coppie a 65.705. Una riduzione pressoché simile si evince dal numero di cicli effettuati che passa da 99.062 nel 2019 a 80.099 nel 2020 (-19%).

Se il numero di cicli diminuisce, la stessa tendenza non è rilevabile per l’età media delle pazienti che si sottopongono alle tecniche di fecondazione assistita che è sempre più alta rispetto al passato; questo porta inevitabilmente all’insorgenza di problematiche legate all’età materna più grande. Per quanto concerne le tecniche di primo livello, l’età media è di 34,9 anni; per quelle di secondo e terzo livello, più invasive rispetto alle precedenti, l’età media sale a 36,9 anni.

Un dato interessante è sicuramente il numero di nati vivi da tecniche di PMA; 11.305 sono i bimbi nati grazie alle attività dei centri, la maggior parte (9.158) con gameti della coppia e 2.147 con gameti donati.

 

Legge 40/2004 ed evoluzioni normative

La legislazione nell’ambito delle tecniche di procreazione medicalmente assistita fa riferimento alla legge 40 del 1 febbraio 2004, nota come “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”, entrata in vigore il 10 marzo dello stesso anno.

L’obiettivo del legislatore è espresso già nell’articolo 1, dove si evince la finalità della legge, ovvero “favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana” per la quale “è consentito il ricorso alla procreazione medicalmente assistita, alle condizioni e secondo le modalità previste dalla presente legge, che assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito”.

In merito alle  fattispecie nelle quali è consentito il ricorso alla PMA, si citano i seguenti articoli: 

Art. 1: il ricorso alla PMA è consentito qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità.

Art. 4: è vietato il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo. In merito all’articolo 4, la Sentenza della Corte costituzionale n. 162 dell’aprile 2014 ha ritenuto il divieto incostituzionale, in quanto lesivo del diritto all’autodeterminazione delle coppie sterili e infertili in relazione alle proprie scelte procreative.

Art. 5: possono accedere coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi.

Art. 14: numero massimo di 3 embrioni da formare e trasferire in utero  successivamente, con un unico e contemporaneo impianto. Circa l’art. 14 la Sentenza della Corte costituzionale n.151 del 1° aprile 2009 ha dichiarato illegittime le parti “unico e contemporaneo impianto” e  “non superiore a 3”.

 

Inserimento delle tecniche di PMA nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza)

“Nell’ambito dell’assistenza distrettuale, domiciliare e territoriale ad accesso diretto, il Servizio sanitario nazionale garantisce alle donne, ai minori, alle coppie e alle famiglie, le prestazioni, anche domiciliari, mediche specialistiche, diagnostiche e terapeutiche, ostetriche, psicologiche e psicoterapeutiche, e riabilitative, mediante l’impiego di metodi e strumenti basati sulle più avanzate evidenze scientifiche necessarie ed appropriate nei seguenti ambiti di attività: 

(…)

b) somministrazione dei mezzi necessari per la procreazione responsabile

(…)

i) consulenza, supporto psicologico e assistenza per problemi di  sterilità  e  infertilità e per procreazione medicalmente assistita

(…)

 

Ultimi sviluppi in materia di tariffe

Dopo 6 anni dall’inserimento della PMA nei Livelli Essenziali di Assistenza, è stato appena approvato il nuovo decreto tariffe, con entrata in vigore prevista per il 1° gennaio 2024. In particolare, il decreto individua chiaramente tutte le prestazioni di procreazione medicalmente assistita (PMA) che saranno erogate a carico del SSN e che fino ad oggi potevano essere erogate solo in regime di ricovero.

 

Autori: la redazione di LO.LI Pharma

Prolasso del pavimento pelvico e livelli di vitamina D: stiamo facendo abbastanza? Un documento di ricerca

Obiettivo. Il prolasso degli organi pelvici (POP) è un problema comune che influisce negativamente sulla qualità della vita delle donne e richiede un’ampia gamma di passaggi di gestione che possono comportare seri interventi chirurgici. Questo studio mira a valutare una possibile relazione tra la presenza e la gravità del prolasso degli organi pelvici e i livelli di vitamina D. In questo studio non miriamo a valutare l’incidenza del prolasso del pavimento pelvico in Giordania.

Materiali e metodi. Questo era uno studio trasversale di donne non gravide con prolasso degli organi pelvici presentate alle cliniche ambulatoriali di ginecologia per la durata di 1 anno. La storia clinica completa e la valutazione ginecologica sono state registrate e correlate ai livelli plasmatici di vitamina D. È stato utilizzato un t-test indipendente per analizzare la possibile relazione tra livelli vitaminici e POP.

Risultati. Sono state reclutate centoquaranta donne, con un’età media di 42,1 ± 13,3 e una parità media di 5,73 ± 1,88. I livelli medi di vitamina D erano 12,8 ± 11,4, inferiori agli standard internazionali. I livelli sierici di vitamina D erano nettamente inferiori nel gruppo prolasso rispetto al gruppo non prolasso (p = 0,046). Inoltre, livelli più bassi di vitamina D correlano con manifestazione multisito (p = 0,022), rettocele (p = 0,007) e stadio avanzato (p = 0,053).

Conclusioni. Lo studio ha concluso che i pazienti con prolasso degli organi pelvici mostravano livelli di vitamina D inferiori rispetto a quelli senza prolasso. Inoltre, sembra che la carenza di vitamina D possa essere correlata in modo indipendente al prolasso multisito e ai gradi avanzati.

Il microbiota condiziona anche la performance sportiva

Il microbiota intestinale contribuisce direttamente alla crescita e allo sviluppo muscolo-scheletrico, soprattutto per via del legame esistente tra la popolazione microbiotica, gli acidi biliari e la massa muscolare. Come emerge anche dallo studio scientifico pubblicato su Trends in Microbiology nell’ottobre del 2022, la presenza di uno stato di disbiosi può interferire negativamente con la prestazione sportiva di medio e alto livello, oltre a rendere poco efficiente l’organismo nella sua totalità.

Anzitutto, il microbiota intestinale – quando in equilibrio – è in grado di regolare le funzioni dell’organismo, favorendo il suo benessere e contrastando gli stati patologici. Per esempio, favorisce il corretto svolgimento delle funzioni metaboliche e contribuisce al rafforzamento del sistema immunitario. Al contrario, le perturbazioni della sua composizione, come avviene nei casi di disbiosi intestinale, sono associate a un’ampia gamma di malattie.

In particolare, lo studio già citato ha indagato il legame tra il microbiota e gli acidi biliari, che come noto sono importanti molecole che condizionano il corretto svolgimento delle funzioni metaboliche dell’organismo. Si è visto, nello specifico, che i microbi presenti nell’intestino tenue e nel colon possono influenzare in maniera significativa la disponibilità e funzionalità degli acidi biliari, impattando negativamente sull’omeostasi metabolica dell’ospite e sulla massa muscolare scheletrica.

Pur essendoci ancora molte incertezze sul legame tra microbiota intestinale e atrofia muscolare scheletrica, è evidente che per mantenere un normale tasso di sintesi proteica è importante che il microbiota resti in equilibrio. Per questo motivo, la manipolazione della composizione batterica attraverso  i probiotici può essere una strategia utile ed efficace per ritardare il processo di invecchiamento metabolico e dunque per migliorare le funzionalità dell’organismo. Incidendo, tra le altre cose, anche sulla performance associata all’attività sportiva.

Fonte: https//www.cell.com/trends/microbio842X(22)00286-4

Anche il microbioma intestinale è una questione di genere

Le differenze di genere sono una realtà sempre più riconosciuta e indagata in molti ambiti, compreso quello della medicina. Maschi e femmine mostrano infatti tratti distintivi anche nello sviluppo delle patologie e nella risposta ai farmaci. Comprendere queste differenze, con i meccanismi che le innescano e gli effetti che provocano, è indispensabile per migliorare l’efficacia degli interventi sanitari. Una review dell’Università di San Diego in California, appena pubblicata sulla rivista Reproduction, suggerisce che persino il microbioma intestinale sia diverso nei due sessi, con importanti implicazioni sul benessere della persona.

La comunità microbica intestinale si sviluppa e arricchisce rapidamente dopo la nascita e tende a stabilizzarsi intorno ai due-tre anni d’età. Durante la pubertà, però, il corpo delle ragazze e dei ragazzi va incontro a profondi cambiamenti, che a quanto pare interessano anche il microbioma intestinale. Molti disturbi che compaiono tendenzialmente dopo la pubertà, riportano gli autori, potrebbero essere associati a cambiamenti sesso-specifici nella composizione del microbiota, dall’intestino irritabile al diabete di tipo 1, dal lupus all’obesità, dalla sindrome dell’ovaio policistico all’endometriosi.

Chi sono i responsabili di queste differenze nella composizione e funzionalità del microbiota intestinale? Secondo studi metagenomici, metabolomici e trascrittomici condotti sui topi e sugli esseri umani, si tratta proprio degli ormoni sessuali e in particolare degli estrogeni e del testosterone. Gli ormoni steroidei, evidenziano gli autori, non influenzano la comunità microbica intestinale solo in modo diretto. Sembrano in grado di agire anche indirettamente, ad esempio regolando la produzione e secrezione degli acidi biliari, che a loro volta modulano il microbiota.

Anche il sistema immunitario, con le sue differenze sesso-specifiche, pare sia implicato nello sviluppo di un microbioma intestinale diverso nei maschi e nelle femmine. Gli studi che indagano queste correlazioni sono molti, e riguardano anche l’associazione tra microbioma e malattie autoimmuni che si manifestano in modo diverso nei due generi.

Se le differenze sesso-specifiche nel microbioma paiono quindi assodate, bisognerà capire meglio quali sono le interazioni tra ospite e microbiota che portano a questa differenziazione. E, di conseguenza, in che modo le differenze di genere nella comunità microbica influenzano lo stato di salute delle donne e degli uomini.

Fonte: https://rep.bioscientifica.com/view/journals/rep/165/2/REP-22-0303.xml

 

MENOPAUSA E DISTURBI DEL SONNO

La menopausa è per la donna un passaggio verso una nuova fase di vita. Spesso vissuto con paura del cambiamento e di conseguenza con ANSIA ed ANGOSCIA. E’ vero che la menopausa può essere accompagnata da sintomi e disagi ma è anche vero che abbiamo la possibilità di gestirli adeguatamente ritrovando nuove energie ed opportunità. In questo modo il cambiamento può diventare un momento di grandi prospettive e di nuove visioni.

E’ fondamentale prepararsi adeguatamente ad affrontare questa fase della vita già negli anni che la precedono, adottando stili di vita sani e atteggiamenti positivi.

I sintomi possono iniziare alcuni anni prima dell’assenza definitiva del ciclo: le donne in premenopausa possono manifestare, in relazione alla diminuzione e alla modifica dei rapporti tra i livelli di estrogeni e progesterone, cicli irregolari, sbalzi d’umore, vampate, insonnia, ansia, depressione.

L’INSONNIA è considerato un sintomo molto fastidioso per la donna in menopausa, spesso dipende dai disturbi di termoregolazione che si manifestano sul viso e poi su tutto il corpo causando una scarica di adrenalina che porta al risveglio notturno con conseguente difficoltà a prendere sonno. Logicamente la donna si sentirà più stanca e irritata.

Cosa si può fare per rimediare a questo inconveniente?

Intanto parlarne col ginecologo di fiducia che saprà consigliare la giusta terapia sostitutiva con estrogeni o con estrogeni e progesterone, scegliendo preferibilmente ormoni bioidentici, ma anche fitoterapia, omeopatia, agopuntura, massaggi.

Accanto a questi trattamenti è però indispensabile una SANA ALIMENTAZIONE, una pratica costante di ATTIVITA’ FISICA MIRATA, che io amo chiamare TERAPIA FISICA, andare a letto preferibilmente alla stessa ora, tinteggiare le pareti della propria camera con colori tenui e graditi,

la camera da letto deve essere fresca e buia, evitare uso di telefoni, TV e DEVICE, evitare pasti abbondanti alla sera, indossare abiti leggeri, gestire il più possibile l’ansia e lo stress, creare una routine del sonno, praticare lo yoga e la meditazione, abbracciare il proprio corpo dall’ombelico in su sentendone il contatto, gestire la respirazione con esercizi lenti e precisi, abbandonarsi al senso di gratitudine che è il sentimento che meglio concilia le nostre emozioni, bere una tisana, ascoltare musica.

Tanti piccoli rimedi che nell’insieme costituiscono un pezzo del puzzle della salute.

MENOPAUSA E DISTURBI DEL SONNO

La menopausa è per la donna un passaggio verso una nuova fase di vita. Spesso vissuto con paura del cambiamento e di conseguenza con ANSIA ed ANGOSCIA. E’ vero che la menopausa può essere accompagnata da sintomi e disagi ma è anche vero che abbiamo la possibilità di gestirli adeguatamente ritrovando nuove energie ed opportunità. In questo modo il cambiamento può diventare un momento di grandi prospettive e di nuove visioni.

E’ fondamentale prepararsi adeguatamente ad affrontare questa fase della vita già negli anni che la precedono, adottando stili di vita sani e atteggiamenti positivi.

I sintomi possono iniziare alcuni anni prima dell’assenza definitiva del ciclo: le donne in premenopausa possono manifestare, in relazione alla diminuzione e alla modifica dei rapporti tra i livelli di estrogeni e progesterone, cicli irregolari, sbalzi d’umore, vampate, insonnia, ansia, depressione.

L’INSONNIA è considerato un sintomo molto fastidioso per la donna in menopausa, spesso dipende dai disturbi di termoregolazione che si manifestano sul viso e poi su tutto il corpo causando una scarica di adrenalina che porta al risveglio notturno con conseguente difficoltà a prendere sonno. Logicamente la donna si sentirà più stanca e irritata.

Cosa si può fare per rimediare a questo inconveniente?

Intanto parlarne col ginecologo di fiducia che saprà consigliare la giusta terapia sostitutiva con estrogeni o con estrogeni e progesterone, scegliendo preferibilmente ormoni bioidentici, ma anche fitoterapia, omeopatia, agopuntura, massaggi.

Accanto a questi trattamenti è però indispensabile una SANA ALIMENTAZIONE, una pratica costante di ATTIVITA’ FISICA MIRATA, che io amo chiamare TERAPIA FISICA, andare a letto preferibilmente alla stessa ora, tinteggiare le pareti della propria camera con colori tenui e graditi,

la camera da letto deve essere fresca e buia, evitare uso di telefoni, TV e DEVICE, evitare pasti abbondanti alla sera, indossare abiti leggeri, gestire il più possibile l’ansia e lo stress, creare una routine del sonno, praticare lo yoga e la meditazione, abbracciare il proprio corpo dall’ombelico in su sentendone il contatto, gestire la respirazione con esercizi lenti e precisi, abbandonarsi al senso di gratitudine che è il sentimento che meglio concilia le nostre emozioni, bere una tisana, ascoltare musica.

Tanti piccoli rimedi che nell’insieme costituiscono un pezzo del puzzle della salute.

ALZHEIMER. MENOPAUSA PRECOCE E TARDO AVVIO DELLA TERAPIA ORMONALE AUMENTANO IL RISCHIO

7 aprile – La terapia ormonale per la menopausa, se assunta contemporaneamente all’esordio di questa fase fisiologica nella vita di una donna, sembra ridurre il rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer. L’evidenza emerge da uno studio Usa pubblicato da Jama Neurology.

Andare in menopausa in età precoce potrebbe costituire un fattore di rischio per la malattia di Alzheimer; tuttavia, le donne che assumono una terapia ormonale appena entrano in menopausa non correrebbero lo stesso rischio. È quanto osservato in uno studio da un team del Mass General Brigham (Usa), i cui risultati sono stati pubblicati da Jama Naurology.

Le donne hanno una maggiore probabilità degli uomini di sviluppare la malattia di Alzheimer e rappresentano i due terzi dei pazienti con questa patologia. La menopausa precoce si manifesta in modo spontaneo prima dei 40 anni o a seguito di intervento chirurgico prima dei 45 anni. La terapia ormonale migliora molti dei sintomi correlati alla menopausa ed è stato ipotizzato che prevenga anche l’alterazione cognitiva.

Lo studio
Partendo da questa ipotesi, i ricercatori hanno analizzato i dati dal Wisconsin Registry for Alzheimer’s Prevention (WRAP), che contiene informazioni dettagliate su menopausa e uso di terapia ormonale, oltre che valutazioni di neuroimaging realizzate con la tecnica PET. Il team ha poi lavorato sui dati di 292 PET di adulti con alterazione cognitiva, per valutare i livelli delle proteine amiloide e tau in sette regioni del cervello.

Le donne presentavano effettivamente livelli di tau più alti rispetto a uomini della stessa età. I ricercatori, inoltre, hanno scoperto che l’associazione tra livelli normali di amiloide e tau era più forte tra le donne che erano andate precocemente in menopausa.

I livelli di tau erano più elevati nella regione entorinale e in quella temporale inferiore, che sono più vicine al ‘centro’ della memoria del cervello e che sono note per essere coinvolte nella progressione della demenza da malattia di Alzheimer.

Infine, le donne nel gruppo che avviavano tardi la terapia ormonale, oltre i cinque anni dopo la menopausa, presentavano un rischio più alto di demenza.

Fonte: JAMA Neurology 2023

 

Articolo tratto da: aogoi.it

Ossigeno vaginale più acido ialuronico sui sintomi genito-urinari delle sopravvissute al cancro al seno

Introduzione

Il cancro al seno è il tumore più diagnosticato al mondo con una stima di 2,3 milioni di nuovi casi nel 2020. il profondo ipoestrogenismo prodotto dalla terapia adiuvante endocrina fondamentale per la malattia oncologica, ha numerosi effetti avversi a breve e lungo termine. L’atrofia vaginale (VA) è una conseguenza diretta dell’ipoestrogenismo ed è caratterizzata da assottigliamento del rivestimento epiteliale della vagina, perdita di elasticità vaginale, secchezza vaginale e aumento del pH vaginale. A causa dell’ipoestrogenismo, i sintomi non si risolvono spontaneamente e influenzano negativamente la vita sessuale della donna. I sintomi dell’AV hanno un notevole impatto sulla qualità della vita delle donne affette da cancro al seno

 

Obiettivi

Questo studio mirava a valutare l’efficacia dell’ossigeno vaginale e dell’acido ialuronico sui sintomi genito-urinari delle sopravvissute al cancro al seno.

Metodi

I pazienti sono stati arruolati presso la clinica ambulatoriale per la menopausa di un ospedale universitario. Sono state incluse pazienti con cancro al seno in una relazione stabile, affette da atrofia vaginale (VA) conseguente a ipoestrogenismo. L’ossigeno naturale è stato introdotto nella vagina per 15 minuti, accoppiato negli ultimi 5 minuti con una soluzione al 2% di acido ialuronico. Il trattamento è stato ripetuto cinque volte, ogni 15 giorni.

Risultati

Dei 40 pazienti con carcinoma mammario arruolati, il 65% non ha avuto rapporti sessuali a causa del dolore. Durante il trattamento, il punteggio dell’indice di salute vaginale è gradualmente migliorato da 9,5 ± 2,2 a 16,8 ± 2,8 ( p  < 0,001), il punteggio della scala analogica visiva per la dispareunia è diminuito da 8,9 ± 1,3 a 3,4 ± 2,1 ( p  < 0,001) e la funzione sessuale femminile L’indice è aumentato da 8,6 ± 6,3 a 15,2 ± 8,1 ( p  <0,001). Alla fine del trattamento, solo il 15% delle donne ( p  = 0,001 rispetto al pretrattamento) non ha avuto rapporti sessuali a causa del dolore. I benefici sono rimasti 30 giorni dopo l’ultimo trattamento.

Conclusione

L’ossigenazione vaginale unita all’acido ialuronico ogni 15 giorni migliora la VA, la sessualità ei sintomi urinari delle pazienti affette da cancro al seno. Oltre alla conferma dei dati, sono necessari ulteriori studi per determinare il miglior intervallo tra i trattamenti, la durata ottimale del trattamento e la durata a lungo termine dei benefici.

 

 

Articolo tratto da: https://www.tandfonline.com/

Prof. Angelo Cagnacci

C. Massarotti, C. Asinaro, M.G. Schiaffino, C. Ronzini, I. Vacca, M. Lambertini, P. Anserini, L. Del Mastro & A. Cagnacci