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Stimolazione ovaio e rischio di cancro mammario e ginecologico

Gli effetti della stimolazione ovarica sull’incidenza dei tumori al seno e ginecologici rimangono controversi.

Un team di ricercatori ha svolto una meta-analisi con la finalità di valutare il rischio di cancro secondario alla stimolazione ovarica. Dei 22713 studi inizialmente reperiti dopo un’attenta esplorazione della letteratura, gli esperti hanno selezionato e incluso nell’analisi 28 documenti ritenuti idonei.

I risultati hanno mostrato che l’impatto del cancro ovarico (RR = 1,33, [1,05; 1,69]) e di quello cervicale                    (RR = 0,67, [0,46; 0,97]) risulta significativo per quanto riguarda gli effetti complessivi.

Nell’analisi dei sottogruppi, la stimolazione ovarica appare rappresentare un fattore protettivo per il cancro mammario nella popolazione nullipara (RR = 0,81 [0,68; 0,96]).  L’incidenza del cancro ovarico è invece statisticamente significativa nel sottogruppo dei caucasici (RR = 1,45, [1,12; 1,88]) così come lo è nel sottogruppo asiatico (RR = 1,51, [1,00; 2,28]) per il cancro dell’endometrio.

Infine, i risultati depongono per un ruolo di protezione svolto dalla stimolazione ovarica per quanto riguarda l’incidenza del cancro della cervice nel gruppo asiatico (RR = 0,55 [0,44; 0,68]) e nella popolazione multipara        (RR = 0,31, [0,21; 0,46]).

 

-Crit Rev Oncol Hematol. 2024- 

Come stimare meglio il rapporto tra i benefici del pesce e i rischi del mercurio

L’analisi non si limita a considerare i livelli di mercurio nei capelli materni come unico indicatore di esposizione, ma include anche la quantità di pesce consumato e il contenuto medio di mercurio del pesce stesso.

Uno studio uscito sull’American Journal of Epidemiology ha usato un metodo innovativo per valutare gli effetti combinati dell’esposizione al metilmercurio (MeHg) e del consumo di pesce sullo sviluppo neurocognitivo dei bambini. Lo studio, coordinato da Sally W. Thurston del Dipartimento di Biostatistica e Biologia Computazionale dell’Università di Rochester, nello stato di New York, ha coinvolto 361 bambini di otto anni.

Il metodo proposto dallo studio per affrontare questo problema consiste nel separare l’esposizione al metilmercurio dal consumo di pesce. In altre parole, l’analisi non si limita a considerare i livelli di mercurio nei capelli materni come unico indicatore di esposizione, ma include anche la quantità di pesce consumato e il contenuto medio di mercurio del pesce stesso. Questo approccio permette di valutare in modo più preciso gli effetti individuali e combinati di queste due variabili.

I campioni di capelli delle madri che avevano consumato pesce durante la gravidanza, raccolti circa 10 giorni dopo il parto, sono stati utilizzati per misurare i livelli di mercurio, riflettendo l’esposizione al  MeHg nel terzo trimestre di gravidanza. Il consumo di pesce è stato valutato tramite un questionario sulla frequenza alimentare (FFQ) somministrato alle madri nello stesso periodo.

Le valutazioni neurocognitive dei bambini, effettuate a otto anni, hanno incluso test standardizzati del QI, abilità linguistiche, memoria e attenzione. I risultati hanno mostrato che il consumo di pesce durante la gravidanza è generalmente associato a effetti benefici sui bambini, ma solo quando il pesce consumato ha un basso contenuto di mercurio. Al contrario, il consumo di pesce con alto contenuto di mercurio è stato associato a effetti negativi.

“Consumare pesce con basso contenuto di mercurio durante la gravidanza può offrire benefici neurocognitivi significativi per i bambini” commenta Thurston.

 

– Am J Epidemiol. 2024-

Uno studio conferma il collegamento tra menopausa precoce, rischio vascolare e declino cognitivo

La menopausa viene oggi riconosciuta non solo come un processo endocrino, ma anche come un fattore di rischio per il declino cognitivo. Il lavoro ha analizzato dati raccolti attraverso questionari dettagliati e test cognitivi.

 

Uno studio pubblicato su “Neurology” ha affrontato la complessa interazione tra l’età di insorgenza della menopausa, il rischio vascolare e l’evoluzione cognitiva  nel corso di tre anni.

Condotta dai ricercatori del “Canadian Longitudinal Study on Aging”, la ricerca guidata da Jennifer Rabin del “Sunnybrook Research Institute” di Toronto (Canada), ha messo in luce come la menopausa precoce associata a un elevato rischio vascolare possa esacerbare il declino cognitivo, suggerendo nuove vie per strategie preventive mirate.

La menopausa, fase biologica che segna la fine del periodo riproduttivo femminile, viene oggi riconosciuta non solo come un processo endocrino, ma anche come un fattore di rischio per il declino cognitivo.

Il lavoro di Rabin e colleghi ha valutato 8360 partecipanti post-menopausa e un analogo gruppo di uomini, analizzando dati raccolti attraverso questionari dettagliati e test cognitivi.

Attraverso un modello lineare, lo studio ha esaminato le interazioni indipendenti e congiunte dell’età alla menopausa e del rischio vascolare sulla funzione cognitiva.

I risultati hanno rivelato un’interazione significativa tra l’età alla menopausa e il rischio vascolare, evidenziando come una menopausa precoce unita a un alto rischio vascolare risulti sinergicamente collegata a punteggi cognitivi più bassi al follow-up.

Inoltre, la terapia ormonale sostitutiva contenente estrogeni non ha modificato questa associazione, sebbene abbia mostrato una tendenza ad attenuare l’associazione tra menopausa precoce e calo cognitivo.

“Il nostro studio suggerisce che una menopausa più precoce può peggiorare gli effetti di un elevato rischio cardiovascolare sul declino cognitivo” spiega Rabin. “Poiché il nostro studio ha seguito le partecipanti solo per tre anni, sono necessarie ulteriori ricerche su periodi di tempo più lunghi.

I nostri risultati evidenziano che l’età della menopausa e il rischio cardiovascolare dovrebbero essere presi in considerazione nello sviluppo di strategie di prevenzione del declino cognitivo”.

 

-Neurology 2024-

Il rischio cardiovascolare aumenta in modo notevole nel post menopausa

Il rischio cardiovascolare di una donna può aumentare in modo considerevole dopo la menopausa, raggiungendo rapidamente quello degli uomini di età e profilo di salute simile.

A mostrarlo sono i risultati di uno studio presentato da Ella Ishaaya della Harbor-UCLA Medical Center, in California, alla Annual Scientific Session dell’American College of Cardiology.

Lo studio sottolinea l’importanza di riconoscere e affrontare i segnali di rischio delle malattie cardiache nelle donne che perdono la protezione degli estrogeni dopo la menopausa.

-Ishaaya “CAC progression in men and women: is there an infection at menopause?”-

 

A questo proposito vi ricordo che una terapia ormonale sostitutiva, meglio se a base di ORMONI BIOIDENTICI e soprattutto personalizzata sulla paziente, può nettamente ridurre il rischio cardiocerebrovascolare nelle pazienti in menopausa.

Per ulteriori precisazioni 3667401308

 

Metalli pesanti: la tossicità ovarica può anticipare la menopausa

L’esposizione a questi inquinanti per via aerea e alimentare nella mezza età impoverisce le riserve di ovociti, accelerando menopausa e disturbi

Secondo quanto si legge in un articolo pubblicato sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism, le donne di mezza età esposte a metalli pesanti hanno maggiori probabilità di avere riserve di ovociti impoverite mentre si avvicinano al loro ultimo periodo mestruale. Questa condizione, nota come ridotta riserva ovarica, potrebbe peggiorare eventuali disturbi durante e dopo la menopausa, scrivono i ricercatori dell’Università del Michigan (UM) che hanno firmato lo studio.

I metalli pesanti come il cadmio, il piombo e il mercurio, sono inquinanti spesso presenti nell’aria come risultato di attività industriali, e anche quando la concentrazione nell’atmosfera resta bassa si possono accumulare nel terreno entrando nella catena alimentare via terra e via acqua.

«L’esposizione alle tossine dei metalli pesanti può avere un impatto significativo sui disturbi di salute legati a un invecchiamento precoce delle ovaie: vampate di calore, osteoporosi, rischio di cardiopatie e declino cognitivo» afferma il coautore Sung Kyun Park, professore associato di epidemiologia e scienze della salute ambientale all’UM, ricordando che le precedenti ricerche epidemiologiche collegano l’esposizione ai metalli all’invecchiamento riproduttivo delle donne con meccanismi non ben compresi.

«L’interruzione della follicologenesi ovarica e ridotta riserva ovarica potrebbero essere un percorso attraverso cui i metalli influiscono sugli ormoni e sulla riproduzione» ipotizzano gli autori, che hanno valutato le associazioni tra esposizione a metalli pesanti e livelli ematici di ormone anti-Mülleriano (AMH), un marcatore della riserva ovarica, in 549 donne tra 45 e 56 anni partecipanti allo “Study of Women’s Health Across the Nation” ed etnicamente diverse: 45% caucasiche, 21% afroamericane, 15% cinesi e 19% giapponesi.

«Sono state eseguite 2.252 misurazioni AMH ripetute entro 10 anni dal loro ultimo periodo mestruale incrociando i dati con le concentrazioni urinarie di arsenico, cadmio, mercurio e piombo» riprende Park. E i risultati ottenuti dimostrano che le donne con maggior concentrazioni di arsenico o mercurio urinario hanno concentrazioni di AMH più basse al loro ultimo periodo mestruale, mentre elevati livelli di cadmio e mercurio si associano a un declino accelerato dell’AMH nel tempo.

Conclude l’epidemiologo: «La tossicità ovarica di metalli pesanti come cadmio, arsenico e mercurio può diminuire la riserva ovarica portando a una menopausa anticipata».

 

 

-Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism 2024-

 

 

Donne di mezza età esposte a metalli tossici avrebbero ridotta riserva ovarica

Le donne di mezza età esposte a metalli tossici avrebbero meno ovuli nelle ovaie, man mano che si avvicinano alla menopausa. E’ la conclusione cui è arrivata una ricerca pubblicata sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism, guidata da Ning Ding, dell’Università del Michigan di Ann Arbor (USA).

Una riserva ovarica ridotta si verifica quando le donne hanno meno ovociti rispetto alla loro età. Il periodo di transizione che porta alla menopausa, comprende una fase in cui le donne avvertono sintomi quali cambiamenti nei cicli mestruali, vampate di calore e sudorazione notturna. La transizione inizia tra i 45 e i 55 anni e di solito dura circa sette anni.

Per lo studio, i ricercatori hanno collegato i livelli di metalli pesanti quali arsenico, cadmio, mercurio e piombo, misurati nelle urine, con l’invecchiamento riproduttivo delle donne e la riserva ovarica. I metalli pesanti si trovano comunemente nell’acqua potabile, nell’aria inquinata e negli alimenti contaminati e sono considerati sostanze chimiche che alterano il sistema endocrino.

Il team ha incluso 549 donne di mezza età che avevano aderito allo Study of Women’s Health Across the Nation (SWAN) e che stavano andando verso la menopausa ed ha analizzato i dati degli esami del sangue fino a 10 anni prima dell’ultimo ciclo mestruale. Ha scoperto, così, che le donne con livelli più elevati di metalli nelle urine avevano maggiori probabilità di avere livelli di ormone antimulleriano (AMH) più bassi, un indicatore di una ridotta riserva ovarica.

 

-Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism (2024)- 

Menopausa: nuotare in acqua fredda riduce ansia e sbalzi di umore

Le donne in menopausa che nuotano in modo regolare in acque fredde riferiscono miglioramenti significativi dei sintomi fisici e mentali.

A mostrarlo è uno studio condotto da ricercatori dell’University College di Londra, nel Regno Unito, coordinati da Joyce Harper. I risultati dello studio sono stati pubblicati su Post Reproductive Health.

La ricerca ha intervistato 1.114 donne, 785 delle quali erano in menopausa, per valutare gli effetti del nuoto in acqua fredda sulla loro salute e sul loro benessere.

I risultati hanno mostrato che le donne in menopausa che nuotavano regolarmente in acqua fredda avevano un significativo miglioramento a livello di ansia (come riferito dal 46,9% delle donne), di sbalzi di umore (come riportato dal 34,5%), di umore basso (nel 31,1% dei casi) e di vampate di calore (nel 30,3%).

Inoltre, la maggioranza delle donne (il 63,3%), nuotava proprio per avere un sollievo dai sintomi. E oltre a questo effetto, le donne hanno affermato che i principali motivi per cui nuotavano in acqua fredda erano per stare all’aperto, migliorare la salute mentale e fare esercizio fisico.

L’effetto positivo del nuotare in acqua fredda, infine, è stato evidenziato anche dalle donne con le mestruazioni, in cui il nuoto ha ridotto l’ansia, nel 46,7% dei casi, gli sbalzi di umore, nel 37,7%, e l’irritabilità, nel 37,6%.

– Post Reproductive Health (2024)-

Lo stress preconcezionale può influire negativamente sulla glicemia

Lo stress psicologico si associa a una glicemia anormale, portando ad un aumento del rischio di glicemie anormali fino al 135 più alto 

Un articolo pubblicato sul “Journal of the Endocrine Society” e firmato dai ricercatori del Massachusetts General Hospital e del Brigham and Women’s Hospital, suggerisce che è importante valutare l’effetto sulla glicemia non solo dello stress in gravidanza, ma anche di quello pregravidico.

«La prevalenza dello stress è aumentata nel corso degli anni, tanto che il National Study of Daily Experiences mostra livelli di stress più elevati nel 2010 rispetto agli anni ’90» afferma il coordinatore dello studio Jorge Chavarro  del Dipartimento di epidemiologia alla Harvard TH Chan School of Public Health di Boston, ricordando che lo stress può influenzare il metabolismo del glucosio e che esistono differenze di genere nello stress percepito, con le donne che riportano livelli di stress autoriferito più elevati rispetto agli uomini.

Per approfondire i legami fra stress, gravidanza e livelli glicemici, gli autori hanno verificato l’eventuale associazione fra stress materno durante il periodo preconcezionale e glicemia in gravidanza in una coorte di donne arruolate nello studio prospettico EARTH (Environment and Reproductive Health), che aveva lo scopo di valutare i determinanti ambientali e dietetici della fertilità.

Tra il 2004 e il 2019 sono state selezionate 1.324 donne di età compresa tra i 18 e i 45 anni che cercavano cure per la fertilità presso il Massachusetts General Hospital Fertility Center, di cui 991 arruolate prima del concepimento.

«Questa analisi include 398 donne che hanno riferito di aver percepito stress preconcezionale all’ingresso nello studio EARTH e di aver misurato i livelli di glucosio in gravidanza» spiegano gli autori, che hanno anche valutato se le associazioni tra stress e glicemia variavano in base alla modalità di concepimento, ossia inseminazione naturale, intrauterina [IUI] e fecondazione in vitro [IVF].

I dati raccolti suggeriscono che lo stress psicologico si associa positivamente a una glicemia anormale. In particolare, le glicemie medie nel primo, secondo e terzo terzile di stress psicologico erano rispettivamente 115, 119 e 124 mg/dL.

Inoltre, le donne nel secondo e terzo terzile di stress psicologico avevano maggiori probabilità, rispettivamente il 4% e il 13% di glicemie anormali rispetto al primo tezile.

Non solo: le donne che hanno concepito con IUI avevano livelli di stress e glicemia più alti rispetto alle coetanee che avevano concepito con IVF.

«Ciò può essere spiegato dal fatto che l’IUI sembra essere meno efficace rispetto all’ IVF, generando un maggiore disagio» ipotizza Chavarro.

 

 

– Journal of the Endocrine Society 2024-

 

 

Menopausa: oli essenziali di menta piperita e limone efficaci sui sintomi

Uno studio ha indagato l’effetto del massaggio aromaterapico con olio essenziale di menta piperita e limone sui sintomi della menopausa

Le donne in menopausa e postmenopausa soffrono di molti sintomi fisici e psicologici. Uno studio ha indagato l’effetto del massaggio aromaterapico con olio essenziale di menta piperita e limone sui sintomi della menopausa.

In questo studio sono state incluse un totale di 63 donne in menopausa e postmenopausa. Le partecipanti sono state randomizzate in tre gruppi: Menta piperita (n = 21), Citrus lemon (n = 21) e Placebo (n = 21).

Gli oli essenziali di menta piperita e limone dei gruppi di intervento sono stati diluiti con olio di mandorle dolci all’ 1,5%. Nel gruppo placebo è stato utilizzato olio di mandorle dolci puro.

Ogni partecipante ai gruppi di massaggio ha ricevuto un massaggio alle mani e alle braccia con l’olio selezionato due volte a settimana per 4 settimane in sessioni di 30 minuti.

I sintomi della menopausa delle partecipanti sono stati valutati prima e dopo l’applicazione utilizzando la Menopause Syntoms Rating Scale (MRS).

Risultati: quando sono state esaminate le differenze nei gruppi di trattamento in base al tempo, si è riscontrato che c’erano differenze statisticamente significative nell’olio essenziale al limone (F = 9,561  p = 0,003  n2 =0,139) e olio essenziale di menta piperita (F = 15,687  p = 0,001  n2 = 0,210) raggruppati in base al tempo.

Il gruppo dell’olio essenziale di menta piperita si è rivelato più efficace del gruppo del limone. Inoltre, sia gli oli essenziali di menta piperita che quelli di limone si sono rivelati efficaci sui sintomi somatici (p < 0,05). Per i sintomi psicologici si è rivelato efficace solo l’olio di limone (p = 0,011) e per i sintomi urogenitali solo l’olio essenziale di menta piperita ( p= 0,001).

Conclusione: lo studio ha scoperto che il massaggio aromaterapico con olio essenziale di menta piperita e limone riduce efficacemente i sintomi della menopausa. L’olio essenziale di menta piperita è risultato più efficace dell’olio essenziale di limone nel ridurre i sintomi della menopausa.

 

[ tratto da: ” The effect of aromatherapy massage with lemon and peppermint essential oil on menopausal symtoms: A double-blinded, randomized placebo controlled clinical trial” 2023 ]

 

(per info: Dott. Matti Nicolò 333/1442457)

Nelle donne con sindrome dell’ovaio policistico l’obesità aumenta il rischio di diabete gestazionale

La sindrome dell’ovaio policistico è una sindrome comune in età riproduttiva, una nuova ricerca dimostra l’importanza di questa patologia nello sviluppo del diabete gestazionale e del controllo dell’insulina.

Secondo uno studio pubblicato sul Journal of Obstetrics and Gynaecology Canada, nelle pazienti con sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) la compresenza di obesità aumenta in modo significativo la probabilità di sviluppare un diabete gestazionale (GDM).

«La PCOS è un’endocrinopatia comune nelle donne in età riproduttiva, che spesso presentano anovulazione, iperandrogenismo, obesità, sindrome metabolica e infertilità» esordisce Maria Velez, professore associato di ostetricia e ginecologia alla Queen’s University di Kingston (Canada), coordinatrice della ricerca.

Gli autori precisano che la resistenza all’insulina è comune nelle donne con PCOS e può svolgere un ruolo centrale nella patogenesi del GDM, che si verifica in circa il 20% delle gravide affette da PCOS. Inoltre, la sindrome dell’ovaio policistico è spesso associata a un eccessivo incremento ponderale, tanto che il 60% delle donne con PCOS presenta sovrappeso o obesità.

«Ciononostante, non è ancora chiaro l’effetto della PCOS sullo sviluppo di GDM nè il ruolo dell’obesità» scrivono gli autori, aggiungendo che secondo una recente metanalisi la PCOS è un fattore di rischio per il GDM indipendentemente dall’obesità. Viceversa, un ampio studio statunitense limitato alle donne con PCOS conclude che l’obesità è importante nell’aumentare le probabilità di GDM. «Il nostro studio aveva l’obiettivo di valutare l’effetto dell’obesità pre-gravidica sull’associazione tra PCOS e rischio di GDM» chiarisce Velez, che assieme ai coautori ha analizzato 1.268.901 nascite tra il 2006 e il 2018: 387.748 erano con PCOS materna e 881.153 senza.

«L’analisi statistica ha evidenziato che le donne con PCOS rispetto a quelle senza avevano un tasso più elevato di GDM, e che la presenza di obesità ha mediato una percentuale significativa (90%) di questa associazione»  affermano i ricercatori, sottolineando che le donne con PCOS corrono un rischio più elevato, ma solo il 5% più alto rispetto alla popolazione generale, che tuttavia aumenta in modo considerevole con l’obesità.

Conclude Velez. «Da questi risultati emerge l’importanza di ottimizzare il peso, iniziando con modifiche dell’alimentazione associate a un aumento dell’esercizio fisico».

 

_Journal of Obstetrics and Gynaecology 2023_