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Metalli pesanti: la tossicità ovarica può anticipare la menopausa

L’esposizione a questi inquinanti per via aerea e alimentare nella mezza età impoverisce le riserve di ovociti, accelerando menopausa e disturbi

Secondo quanto si legge in un articolo pubblicato sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism, le donne di mezza età esposte a metalli pesanti hanno maggiori probabilità di avere riserve di ovociti impoverite mentre si avvicinano al loro ultimo periodo mestruale. Questa condizione, nota come ridotta riserva ovarica, potrebbe peggiorare eventuali disturbi durante e dopo la menopausa, scrivono i ricercatori dell’Università del Michigan (UM) che hanno firmato lo studio.

I metalli pesanti come il cadmio, il piombo e il mercurio, sono inquinanti spesso presenti nell’aria come risultato di attività industriali, e anche quando la concentrazione nell’atmosfera resta bassa si possono accumulare nel terreno entrando nella catena alimentare via terra e via acqua.

«L’esposizione alle tossine dei metalli pesanti può avere un impatto significativo sui disturbi di salute legati a un invecchiamento precoce delle ovaie: vampate di calore, osteoporosi, rischio di cardiopatie e declino cognitivo» afferma il coautore Sung Kyun Park, professore associato di epidemiologia e scienze della salute ambientale all’UM, ricordando che le precedenti ricerche epidemiologiche collegano l’esposizione ai metalli all’invecchiamento riproduttivo delle donne con meccanismi non ben compresi.

«L’interruzione della follicologenesi ovarica e ridotta riserva ovarica potrebbero essere un percorso attraverso cui i metalli influiscono sugli ormoni e sulla riproduzione» ipotizzano gli autori, che hanno valutato le associazioni tra esposizione a metalli pesanti e livelli ematici di ormone anti-Mülleriano (AMH), un marcatore della riserva ovarica, in 549 donne tra 45 e 56 anni partecipanti allo “Study of Women’s Health Across the Nation” ed etnicamente diverse: 45% caucasiche, 21% afroamericane, 15% cinesi e 19% giapponesi.

«Sono state eseguite 2.252 misurazioni AMH ripetute entro 10 anni dal loro ultimo periodo mestruale incrociando i dati con le concentrazioni urinarie di arsenico, cadmio, mercurio e piombo» riprende Park. E i risultati ottenuti dimostrano che le donne con maggior concentrazioni di arsenico o mercurio urinario hanno concentrazioni di AMH più basse al loro ultimo periodo mestruale, mentre elevati livelli di cadmio e mercurio si associano a un declino accelerato dell’AMH nel tempo.

Conclude l’epidemiologo: «La tossicità ovarica di metalli pesanti come cadmio, arsenico e mercurio può diminuire la riserva ovarica portando a una menopausa anticipata».

 

 

-Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism 2024-

 

 

Donne di mezza età esposte a metalli tossici avrebbero ridotta riserva ovarica

Le donne di mezza età esposte a metalli tossici avrebbero meno ovuli nelle ovaie, man mano che si avvicinano alla menopausa. E’ la conclusione cui è arrivata una ricerca pubblicata sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism, guidata da Ning Ding, dell’Università del Michigan di Ann Arbor (USA).

Una riserva ovarica ridotta si verifica quando le donne hanno meno ovociti rispetto alla loro età. Il periodo di transizione che porta alla menopausa, comprende una fase in cui le donne avvertono sintomi quali cambiamenti nei cicli mestruali, vampate di calore e sudorazione notturna. La transizione inizia tra i 45 e i 55 anni e di solito dura circa sette anni.

Per lo studio, i ricercatori hanno collegato i livelli di metalli pesanti quali arsenico, cadmio, mercurio e piombo, misurati nelle urine, con l’invecchiamento riproduttivo delle donne e la riserva ovarica. I metalli pesanti si trovano comunemente nell’acqua potabile, nell’aria inquinata e negli alimenti contaminati e sono considerati sostanze chimiche che alterano il sistema endocrino.

Il team ha incluso 549 donne di mezza età che avevano aderito allo Study of Women’s Health Across the Nation (SWAN) e che stavano andando verso la menopausa ed ha analizzato i dati degli esami del sangue fino a 10 anni prima dell’ultimo ciclo mestruale. Ha scoperto, così, che le donne con livelli più elevati di metalli nelle urine avevano maggiori probabilità di avere livelli di ormone antimulleriano (AMH) più bassi, un indicatore di una ridotta riserva ovarica.

 

-Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism (2024)- 

Menopausa: nuotare in acqua fredda riduce ansia e sbalzi di umore

Le donne in menopausa che nuotano in modo regolare in acque fredde riferiscono miglioramenti significativi dei sintomi fisici e mentali.

A mostrarlo è uno studio condotto da ricercatori dell’University College di Londra, nel Regno Unito, coordinati da Joyce Harper. I risultati dello studio sono stati pubblicati su Post Reproductive Health.

La ricerca ha intervistato 1.114 donne, 785 delle quali erano in menopausa, per valutare gli effetti del nuoto in acqua fredda sulla loro salute e sul loro benessere.

I risultati hanno mostrato che le donne in menopausa che nuotavano regolarmente in acqua fredda avevano un significativo miglioramento a livello di ansia (come riferito dal 46,9% delle donne), di sbalzi di umore (come riportato dal 34,5%), di umore basso (nel 31,1% dei casi) e di vampate di calore (nel 30,3%).

Inoltre, la maggioranza delle donne (il 63,3%), nuotava proprio per avere un sollievo dai sintomi. E oltre a questo effetto, le donne hanno affermato che i principali motivi per cui nuotavano in acqua fredda erano per stare all’aperto, migliorare la salute mentale e fare esercizio fisico.

L’effetto positivo del nuotare in acqua fredda, infine, è stato evidenziato anche dalle donne con le mestruazioni, in cui il nuoto ha ridotto l’ansia, nel 46,7% dei casi, gli sbalzi di umore, nel 37,7%, e l’irritabilità, nel 37,6%.

– Post Reproductive Health (2024)-

Lo stress preconcezionale può influire negativamente sulla glicemia

Lo stress psicologico si associa a una glicemia anormale, portando ad un aumento del rischio di glicemie anormali fino al 135 più alto 

Un articolo pubblicato sul “Journal of the Endocrine Society” e firmato dai ricercatori del Massachusetts General Hospital e del Brigham and Women’s Hospital, suggerisce che è importante valutare l’effetto sulla glicemia non solo dello stress in gravidanza, ma anche di quello pregravidico.

«La prevalenza dello stress è aumentata nel corso degli anni, tanto che il National Study of Daily Experiences mostra livelli di stress più elevati nel 2010 rispetto agli anni ’90» afferma il coordinatore dello studio Jorge Chavarro  del Dipartimento di epidemiologia alla Harvard TH Chan School of Public Health di Boston, ricordando che lo stress può influenzare il metabolismo del glucosio e che esistono differenze di genere nello stress percepito, con le donne che riportano livelli di stress autoriferito più elevati rispetto agli uomini.

Per approfondire i legami fra stress, gravidanza e livelli glicemici, gli autori hanno verificato l’eventuale associazione fra stress materno durante il periodo preconcezionale e glicemia in gravidanza in una coorte di donne arruolate nello studio prospettico EARTH (Environment and Reproductive Health), che aveva lo scopo di valutare i determinanti ambientali e dietetici della fertilità.

Tra il 2004 e il 2019 sono state selezionate 1.324 donne di età compresa tra i 18 e i 45 anni che cercavano cure per la fertilità presso il Massachusetts General Hospital Fertility Center, di cui 991 arruolate prima del concepimento.

«Questa analisi include 398 donne che hanno riferito di aver percepito stress preconcezionale all’ingresso nello studio EARTH e di aver misurato i livelli di glucosio in gravidanza» spiegano gli autori, che hanno anche valutato se le associazioni tra stress e glicemia variavano in base alla modalità di concepimento, ossia inseminazione naturale, intrauterina [IUI] e fecondazione in vitro [IVF].

I dati raccolti suggeriscono che lo stress psicologico si associa positivamente a una glicemia anormale. In particolare, le glicemie medie nel primo, secondo e terzo terzile di stress psicologico erano rispettivamente 115, 119 e 124 mg/dL.

Inoltre, le donne nel secondo e terzo terzile di stress psicologico avevano maggiori probabilità, rispettivamente il 4% e il 13% di glicemie anormali rispetto al primo tezile.

Non solo: le donne che hanno concepito con IUI avevano livelli di stress e glicemia più alti rispetto alle coetanee che avevano concepito con IVF.

«Ciò può essere spiegato dal fatto che l’IUI sembra essere meno efficace rispetto all’ IVF, generando un maggiore disagio» ipotizza Chavarro.

 

 

– Journal of the Endocrine Society 2024-

 

 

Menopausa: oli essenziali di menta piperita e limone efficaci sui sintomi

Uno studio ha indagato l’effetto del massaggio aromaterapico con olio essenziale di menta piperita e limone sui sintomi della menopausa

Le donne in menopausa e postmenopausa soffrono di molti sintomi fisici e psicologici. Uno studio ha indagato l’effetto del massaggio aromaterapico con olio essenziale di menta piperita e limone sui sintomi della menopausa.

In questo studio sono state incluse un totale di 63 donne in menopausa e postmenopausa. Le partecipanti sono state randomizzate in tre gruppi: Menta piperita (n = 21), Citrus lemon (n = 21) e Placebo (n = 21).

Gli oli essenziali di menta piperita e limone dei gruppi di intervento sono stati diluiti con olio di mandorle dolci all’ 1,5%. Nel gruppo placebo è stato utilizzato olio di mandorle dolci puro.

Ogni partecipante ai gruppi di massaggio ha ricevuto un massaggio alle mani e alle braccia con l’olio selezionato due volte a settimana per 4 settimane in sessioni di 30 minuti.

I sintomi della menopausa delle partecipanti sono stati valutati prima e dopo l’applicazione utilizzando la Menopause Syntoms Rating Scale (MRS).

Risultati: quando sono state esaminate le differenze nei gruppi di trattamento in base al tempo, si è riscontrato che c’erano differenze statisticamente significative nell’olio essenziale al limone (F = 9,561  p = 0,003  n2 =0,139) e olio essenziale di menta piperita (F = 15,687  p = 0,001  n2 = 0,210) raggruppati in base al tempo.

Il gruppo dell’olio essenziale di menta piperita si è rivelato più efficace del gruppo del limone. Inoltre, sia gli oli essenziali di menta piperita che quelli di limone si sono rivelati efficaci sui sintomi somatici (p < 0,05). Per i sintomi psicologici si è rivelato efficace solo l’olio di limone (p = 0,011) e per i sintomi urogenitali solo l’olio essenziale di menta piperita ( p= 0,001).

Conclusione: lo studio ha scoperto che il massaggio aromaterapico con olio essenziale di menta piperita e limone riduce efficacemente i sintomi della menopausa. L’olio essenziale di menta piperita è risultato più efficace dell’olio essenziale di limone nel ridurre i sintomi della menopausa.

 

[ tratto da: ” The effect of aromatherapy massage with lemon and peppermint essential oil on menopausal symtoms: A double-blinded, randomized placebo controlled clinical trial” 2023 ]

 

(per info: Dott. Matti Nicolò 333/1442457)

Nelle donne con sindrome dell’ovaio policistico l’obesità aumenta il rischio di diabete gestazionale

La sindrome dell’ovaio policistico è una sindrome comune in età riproduttiva, una nuova ricerca dimostra l’importanza di questa patologia nello sviluppo del diabete gestazionale e del controllo dell’insulina.

Secondo uno studio pubblicato sul Journal of Obstetrics and Gynaecology Canada, nelle pazienti con sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) la compresenza di obesità aumenta in modo significativo la probabilità di sviluppare un diabete gestazionale (GDM).

«La PCOS è un’endocrinopatia comune nelle donne in età riproduttiva, che spesso presentano anovulazione, iperandrogenismo, obesità, sindrome metabolica e infertilità» esordisce Maria Velez, professore associato di ostetricia e ginecologia alla Queen’s University di Kingston (Canada), coordinatrice della ricerca.

Gli autori precisano che la resistenza all’insulina è comune nelle donne con PCOS e può svolgere un ruolo centrale nella patogenesi del GDM, che si verifica in circa il 20% delle gravide affette da PCOS. Inoltre, la sindrome dell’ovaio policistico è spesso associata a un eccessivo incremento ponderale, tanto che il 60% delle donne con PCOS presenta sovrappeso o obesità.

«Ciononostante, non è ancora chiaro l’effetto della PCOS sullo sviluppo di GDM nè il ruolo dell’obesità» scrivono gli autori, aggiungendo che secondo una recente metanalisi la PCOS è un fattore di rischio per il GDM indipendentemente dall’obesità. Viceversa, un ampio studio statunitense limitato alle donne con PCOS conclude che l’obesità è importante nell’aumentare le probabilità di GDM. «Il nostro studio aveva l’obiettivo di valutare l’effetto dell’obesità pre-gravidica sull’associazione tra PCOS e rischio di GDM» chiarisce Velez, che assieme ai coautori ha analizzato 1.268.901 nascite tra il 2006 e il 2018: 387.748 erano con PCOS materna e 881.153 senza.

«L’analisi statistica ha evidenziato che le donne con PCOS rispetto a quelle senza avevano un tasso più elevato di GDM, e che la presenza di obesità ha mediato una percentuale significativa (90%) di questa associazione»  affermano i ricercatori, sottolineando che le donne con PCOS corrono un rischio più elevato, ma solo il 5% più alto rispetto alla popolazione generale, che tuttavia aumenta in modo considerevole con l’obesità.

Conclude Velez. «Da questi risultati emerge l’importanza di ottimizzare il peso, iniziando con modifiche dell’alimentazione associate a un aumento dell’esercizio fisico».

 

_Journal of Obstetrics and Gynaecology 2023_

 

Svolgere attività fisica invece di guardare la televisione riduce il rischio di diabete mellito gestazionale

Basta un’ora di esercizio fisico vigoroso alla settimana per ridurre significativamente il rischio di sviluppare il diabete mellito gestazionale

Nelle gestanti la semplice sostituzione di un’ora alla settimana trascorsa guardando la televisione con un analogo intervallo in cui svolgere un esercizio fisico vigoroso (VPA) si associa a una significativa riduzione delle probabilità di sviluppare un diabete mellito gestazionale (GDM), secondo uno studio pubblicato su Gynecology and Obstetrics coordinato da José Juan Jiménez-Moleón del Dipartimento di medicina preventiva e sanità pubblica all’Università di Granada in Spagna.

«É noto che l’attività fisica previene il GDM, ma resta da chiarire quale sia il tipo più efficace di esercizio e quali strategie per prevenire il GDM siano efficaci, dato che gli studi svolti in precedenza non hanno probabilmente raggiunto i livelli minimi di attività fisica necessari a ridurre il rischio di GDM» affermano gli autori, ricordando che in una giornata di 24 ore dedicare tempo a un’attività può sostituirne un’altra, influenzando in tal modo altre patologie come la depressione e il diabete di tipo 2.

«Sebbene un modello tradizionale non consideri le differenze prodotte dalla riallocazione di comportamenti, il modello di sostituzione isotemporale consente di valutare l’effetto della sostituzione di un’attività con un’altra, e a nostra conoscenza questo è il primo studio che valuta l’effetto della sostituzione del tempo trascorso alla televisione con l’attività fisica sul rischio di GDM» riprende Jiménez-Moleón. E aggiunge: «Considerando che le gestanti tendono a ridurre l’attività fisica trascorrendo più tempo in comportamenti sedentari, abbiamo stimato l’effetto della sostituzione di un’ora la settimana trascorsa alla televisione con un tempo equivalente di attività fisica prima e durante la gravidanza sul rischio di GDM».

Ogni attività è stata classificata in base all’intensità; meno di 6 equivalenti metabolici (MET) era attività da lieve a moderata mentre 6 MET o più erano VPA. «E i dati raccolti confermano da un lato che le gravide che trascorrono più tempo alla televisione hanno maggiori probabilità di sviluppare GDM, e dall’altro che sostituire in gestazione ogni settimana un’ora di televisione con un’ora di VPA può ridurre il rischio di GDM» concludono i ricercatori.

 

_ Gynecology and Obstetrics 2023 _

 

Vivere in aree in cui si può facilmente camminare riduce rischio tumori legati all’obesità

Le donne che risiedono in luoghi in cui si può camminare hanno un rischio inferiore di tumori correlati ad obesità, nello specifico tumore al seno post menopausa, ma anche tumore delle ovaie, cancro dell’endometrio e mieloma multiplo. E’ la conclusione cui è arrivata una ricerca condotta da un team della Columbia University e della NYU Grossman School of Medicine. I risultati dell’indagine sono stati pubblicati su Environmental Health Perspectives.

Per la ricerca , sono state prese in considerazione 14.274 donne tra i 34 e i 65 anni, seguite per quasi tre decenni.

Il team ha misurato la capacità di camminare all’aria aperta nelle vicinanze di casa. Del numero totale di donne, il 18% ha avuto un tumore correlato all’obesità. Il più comune è stato il cancro del seno post menopausa, al 53%, seguito dal tumore del colon retto, il 14%, e dal tumore dell’endometrio, al 12%.

Le donne che vivevano in aree con la più elevata percentuale di aree percorribili a piedi nelle vicinanze, però, avevano un rischio ridotto del 26% di tumore correlato all’obesità rispetto a quelle che vivevano in zone meno percorribili a piedi.

 

[tratto da Popular Science]

Massa e forza muscolare: le insidie della sarcopenia per la nostra salute

L’invecchiamento non è amico dei nostri muscoli. Già a partire dai 40 anni, soprattutto nei soggetti sedentari, inizia a farsi strada la sarcopenia, una condizione caratterizzata dalla perdita progressiva di massa e forza muscolare (atrofia muscolare). Essa comporta sia un decadimento della forza che cambiamenti metabolici ed estetici sul nostro corpo.

Molti studi scientifici hanno messo in evidenza i primi segni di atrofia muscolare attorno ai 40 anni, periodo nel quale comincerebbe un lento declino funzionale.

Con l’affacciarsi della sarcopenia, inizia anche un abbassamento del dispendio energetico a riposo (metabolismo basale) anticamera dell’accumulo di grasso. Un fenomeno ulteriormente aggravato quando il regime alimentare è deficitario dal punto di vista dell’apporto proteico di qualità.

L’importanza di allenamento specifico e alimentazione

Come alcuni studi dimostrano, grazie a un allenamento specifico, la massa muscolare può essere mantenuta o addirittura aumentata anche dopo i 40 anni.

Non si tratta quindi di un mero fatto estetico: perdere muscoli significa non solo avere un corpo meno tonico ma soprattutto perdere autonomia e qualità della vita, favorendo lo sviluppo di patologie importanti.

Ma non tutto è perduto: ci sono diverse strategie e attività che possono aiutare a combattere la sarcopenia e a promuovere la salute muscolare.

Ecco alcune principali raccomandazioni da parte degli esperti

Esercizio fisico. L’esercizio regolare, in particolare l’allenamento di resistenza, è fondamentale per prevenire la sarcopenia. L’allenamento con i pesi o l’uso di macchine di resistenza aiuta a stimolare la crescita muscolare e il mantenimento della massa muscolare. La frequenza consigliata degli esercizi di resistenza è almeno due volte alla settimana, lavorando su tutti i principali gruppi muscolari.

Alimentazione adeguata. Una dieta equilibrata e ricca di nutrienti è importante per sostenere i nostri muscoli. Per questo è importante consumare una quantità sufficiente di proteine, i mattoni fondamentali per la costruzione e il mantenimento dei muscoli. Non possono quindi mancare fonti di proteine di alta qualità come carne magra, pesce, uova, latticini, legumi e noci. Ma anche una varietà di frutta, verdura e cereali integrali per fornire vitamine, minerali e antiossidanti che promuovono la salute muscolare.

Integrazione alimentare. Se l’alimentazione è carente di alcuni nutrienti, in alcuni casi può essere raccomandato l’apporto di integratori alimentari per sostenere la salute muscolare. Ad esempio le proteine, oppure la creatina per migliorare la forza muscolare e l’energia durante l’allenamento di resistenza.

Equilibrio fra attività fisica e riposo. Mentre l’esercizio regolare è importante, è altrettanto fondamentale concedere al corpo il giusto riposo e recupero. Durante il riposo, i muscoli si rigenerano e si riparano, favorendo la crescita e il mantenimento della massa muscolare. Assicurarsi di avere una buona qualità del sonno e di includere giorni di riposo attivo nella routine di allenamento.

Mantenere uno stile di vita attivo. Oltre all’allenamento strutturato, è importante mantenere uno stile di vita attivo nel quotidiano. Svolgere attività fisiche come camminare, salire le scale e fare giardinaggio può aiutare a stimolare l’attività muscolare e contrastare la sarcopenia

 

Fonte: Agemony

GRAVIDANZA. CON UN DIETOLOGO SI PRENDE MENO PESO

Da un’ampia analisi degli studi presenti in letteratura, è emerso che l’aumento di peso non fisiologico in gravidanza può essere meglio controllato con l’aiuto di un dietologo. La supervisione di un dietologo ha fornito maggiori evidenze di efficacia anche rispetto all’attività fisica, che comunque rimane consigliata, soprattutto se praticata in modo continuativo.

Le donne in gravidanza dovrebbero essere supportate da esperti in nutrizione per controllare l’aumento di peso e farlo rimanere nei limiti fisiologici. È la conclusione cui è giunta un’analisi che ha preso in considerazione quasi 100 studi pubblicati in letteratura. I risultati dell’indagine, coordinata da Shakila Thangaratinam dell’Università di Birmingham, nel Regno Unito, sono stati pubblicati da JAMA Network Open.

La metanalisi ha compreso quasi 35mila partecipanti e ha rilevato che gli interventi di professionisti sanitari come i dietologi sono gli strumenti più utili per controllare l’aumento di peso durante la gestazione. In particolare, sono raccomandabili tra i 6 e i 20 incontri individuali con l’esperto di nutrizione; queste sessioni devono prendere in considerazione anche elementi pratici della gravidanza, come la nausea – che può influenzare il corretto consumo degli alimenti – le “voglie” e la stanchezza.

Nell’analisi della letteratura il team ha evidenziato meno evidenze positive sull’attività fisica nella gestione del peso durante la gravdanza; in ogni caso un programma di esercizi motori deve essere seguito per più di 20 settimane.

“L’aumento di peso durante la gravidanza è un processo normale – conclude Thangaratinam – ma la convinzione che le mamme debbano mangiare per due e che non debbano preoccuparsi dell’aumento di peso può portare a conseguenze dannose per la salute di madre e bambino”.

L’eccessivo aumento di peso, infatti, porta a un maggior rischio di sviluppare diabete e altre complicanze.

 

Fonte: JAMA Network Open 2023