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MENOPAUSA. INCREMENTO TESSUTO ADIPOSO VISCERALE AUMENTA RISCHIO DI ATEROSCLEROSI CAROTIDEA

13 marzo – Le donne che in menopausa accumulano tessuto adiposo a livello della vita presentano un aumento del rischio di aterosclerosi carotidea. L’evidenza emerge da uno studio che ha seguito per 25 anni oltre 360 donne che avevano aderito al Women’s Health Across the Nation (SWAN) Heart degli Stati Uniti.

(Reuters Health) – Durante la menopausa, le donne che vanno incontro a una crescita del tessuto adiposo viscerale addominale presentano un maggior rischio di aterosclerosi carotidea. È quanto evidenzia uno studio pubblicato su Menopause da un team di ricercatori guidato da Samar El Khoudary, dell’Università di Pittsburgh (USA).

I ricercatori hanno estrapolato dati relativi a 362 donne comprese nello studio Women’s Health Across the Nation (SWAN) Heart, che nel tempo si sono sottoposte almeno a due misurazioni del tessuto adiposo viscerale (VAT) e dello spessore dell’intima media della carotide (cIMT).

Dai risultati è emerso che il VAT è aumentato in modo significativo dell’8,2%, due anni prima dell’ultimo ciclo mestruale, e del 5,8% l’anno, dopo la menopausa, indipendentemente dall’invecchiamento, dai fattori tradizionali di rischio cardiovascolare e dall’adiposità in generale.

“I dati raccolti su centinaia di donne in un quarto di secolo hanno mostrato che la crescita del grasso addominale durante la transizione della menopausa è collegato a malattie cardiache, anche se peso o indice di massa corporea restano costanti”, ha spiegato El Khoudary, secondo il quale, “i medici dovrebbero avvisare le donne di questo rischio, fornendo consigli su stile di vita, come una dieta ad hoc ed adeguato esercizio fisico”.

“Nel nostro studio – conclude El Khoudary – abbiamo misurato l’aumento dell’adiposità con la TAC, ma i nostri risultati suggeriscono che i medici potrebbero monitorare questi incrementi con un semplice metro”.

Fonte: Menopause

Megan Brooks

(Versione italiana Quotidiano Sanità e Daily Health Industry)

Articolo tratto dal sito AOGOI (Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani)

 

LA CONTRACCEZIONE D’EMERGENZA ORALE E’ ABORTIVA?

L’introduzione delle pillole per la contraccezione d’emergenza, a base di levonorgestrel, prima, e uliprsital acetato, in seguito, ha generato controversie. Uno dei principali ostacoli all’uso diffuso della contraccezione d’emergenza nel mondo, è la confusione riguardo al suo meccanismo d’azione, tra cui le preoccupazioni legate al fatto che la contraccezione d’emergenza possa danneggiare o interrompere l’impianto di un ovulo fecondato.

La contraccezione d’emergenza è spesso confusa con la pillola che provoca l’aborto farmacologico, ma il meccanismo d’azione di questi farmaci è ben diverso, tanto che sulle caratteristiche di prodotto approvate dall’EMA per tutta l’Unione Europea si legge che, per i farmaci per la contraccezione d’emergenza orale, “il meccanismo d’azione consiste nell’inibire o ritardare l’ovulazione mediante soppressione della salita dell’ormone luteinizzante (LH)”.

Né levonorgestrel nè uliprsital acetato, dunque, sono in grado di evitare l’impianto uterino dell’ovocita fecondato. La contraccezione d’emergenza per via orale, insomma, agisce a monte, sospendendo o ritardando il rilascio dell’ovulo maturo.

I farmaci a base di levonorgestrel possono essere usati fino a 72 ore dopo un rapporto non protetto, mentre quelli a base di uliprsital acetato possono essere usati fino 120 ore dopo il rapporto a rischio. Comunque, visto che questi farmaci agiscono ritardando o inibendo l’ovulazione, e non potendo prevedere con precisione quando questa avviene, è importante assumerli quanto prima possibile dopo il rapporto non protetto o il fallimento della contraccezione utilizzata.

 

Articolo tratto da Popsci.it del 25 febbraio 2021

DOLORE LOMBARE: IL FUTURO E’ LA RIABILITAZIONE

Il dolore lombare è la condizione muscolo-scheletrica più comune che influisce sulla qualità della vita degli individui, specialmente se persistente.

Nel corso dei decenni, è stato fatto molto lavoro nel tentativo di ridurre l’impatto negativo della lombalgia e aiutare i pazienti a recuperare e mantenere una migliore qualità della vita.

Nuove intuizioni provengono da diversi campi di ricerca, con molto lavoro svolto nella ricerca della sua eziologia, descrivendo i diversi fenotipi sintomatici e indentificando i fattori coinvolti nella persistenza di tale condizione.

Tuttavia, resta ancora molto da fare per comprendere appieno il problema della lombalgia e delle sue cause.

Ancora oggi, sembra esserci un ampio divario tra la scienza di base e la ricerca sulla riabilitazione applicata a questa condizione clinica. Il primo è ancora alla ricerca in molti modi diversi del “Santo Graal” del generatore del dolore e fornisce risultati molto interessanti con particolare rilevanza per approcci chirurgici, correlati ai farmaci e altri approcci biologici, mentre il secondo si concentra pragmaticamente sui fattori modificabili che possono influenzare gli esiti di tale condizione dolorosa.

Tuttavia, una cura personalizzata ed efficace non è stata ancora pienamente realizzata. Pur riconoscendo il potenziale dei progressi scientifici, vi è un’immediata necessità di una maggiore ricerca traslazionale sulla riabilitazione, nonché di studi incentrati sull’efficacia degli approcci riabilitativi e sull’identificazione di nuovi “principi attivi”.

In base alle recenti ricerche e alle conoscenze acquisite sul campo quali sarebbero quindi le EBM della medicina fisica e riabilitativa? le linee guida consigliano di concentrare l’attenzione sul subacuto e sul dolore lombare cronico. Una condizione acuta ha di solito una buona prognosi, la lombalgia cronica è invece tipicamente persistente con ridotte possibilità di recupero totale.

Mentre ci sono prove che un approccio riabilitativo possa migliorare la qualità della vita di questi pazienti, non c’è evidenza di alcun trattamento in grado di risolvere totalmente il problema.

La riabilitazione si basa principalmente su esercizi e sull’educazione posturale, ma è previsto anche un ruolo per altre terapie, compresa la manipolazione e massaggi, se applicati in un approccio multimodale. Le linee guide raccomandano auto-gestione, terapie fisiche e psicologiche, e alcune forme di medicina complementare, mentre pongono meno enfasi sui trattamenti farmacologici e chirurgici.

Mentre la ricerca ha completamente cambiato l’approccio generale per il dolore lombare, sono necessari nuovi paradigmi al fine di garantire il futuro progresso in tale ambito.

Soluzioni promettenti per la cura del dolore lombare e la riabilitazione dei pazienti includono quindi l’attuazione di una best practice, la riprogettazione dei percorsi clinici, l’integrazione di salute e assistenza sul lavoro e nuove strategie di sanità pubblica e prevenzione. Inoltre c’è definitivamente bisogno di classificare i vari sottotipi specifici per una corretta diagnosi e cura.

 

Eur J Phis Rehabil Med. 2020 Apr;56(2):212-219.doi: 10.23736/S1973-9087.20.06257-7. Epub 2020 Mar 25

CONSIDERAZIONE SUL VACCINO IN GRAVIDANZA E ALLATTAMENTO

Vaccinazione Covid-19 in gravidanza non è controindicata. Le indicazioni dell’Iss

 

Nonostante non siano disponibili dati per valutare gli effetti dei vaccini Covid-19 in gravidanza e allattamento, la vaccinazione non è controindicata, e le donne ad alto rischio di contrarre la malattia dovrebbero discutere dei potenziali benefici e rischi, coi propri medici. Sono queste le principali indicazioni contenute nel documento “Vaccinazione contro il Covid-19 in gravidanza e allattamento” elaborato dall’Italian Obstetric Surveillance System (Itoss) dell’Istituto superiore di sanità, e condiviso e sottoscritto dalle principali società scientifiche del settore.

Il documento passa in rassegna le principali indicazioni adottate a livello internazionale e nazionale, oltre alle evidenze scientifiche emerse fino a questo momento sul tema. “In Italia – sottolinea – si offre alle donne in gravidanza e allattamento, la possibilità di scegliere, con il supporto dei professionisti sanitari, se sottoporsi o meno alla vaccinazione dopo una valutazione individuale del profilo rischio/beneficio. La scelta di non escludere la vaccinazione in gravidanza riguarda le donne che presentano un alto rischio di esposizione al virus Sars-CoV-2 e/o hanno situazioni di salute che le espongono a un rischio di grave morbosità materna e/o feto/neonatale a seguito dell’infezione. In questi casi selezionati le donne sono invitate a discutere individualmente i potenziali rischi e benefici con i professionisti sanitari che le assistono, al fine di prendere una decisione informata e consapevole”.

Queste le principali indicazioni contenute nel documento:

  • Le donne in gravidanza e allattamento non sono state incluse nel trial di valutazione dei vaccini Pfizer-BioNtech mRNA (Comirnaty) e Moderna per cui non disponiamo di dati di sicurezza ed efficacia relativi a queste persone.
  • Gli studi condotti finora non hanno evidenziato né suggerito meccanismi biologici che possano associare i vaccini mRNA ad effetti avversi in gravidanza e le evidenze di laboratorio su animali suggeriscono l’assenza di rischio da vaccinazione.
  • Al momento le donne in gravidanza e allattamento non sono un target prioritario dell’offerta di vaccinazione contro il Covid-19 che, ad oggi, non è raccomandata di routine per queste persone.
  • Dai dati dello studio Itoss – relativi alla prima ondata pandemica in Italia – emerge che le donne in gravidanza non presentano un rischio aumentato di infezione rispetto alla popolazione generale. Le donne di cittadinanza africana, asiatica, centro e sud-america ed est-europa e quelle affette da comorbidità pregresse (obesità, ipertensione) presentano un rischio significativamente maggiore di sviluppare una polmonite da Covid-19 che, complessivamente, riguardano una minoranza di madri e neonati.
  • La vaccinazione dovrebbe essere presa in considerazione per le donne in gravidanza che sono ad alto rischio di complicazioni gravi da Covid19. le donne in queste condizioni, devono valutare con i sanitari che le assistono, i potenziali benefici e rischi e la scelta deve essere fatta caso per caso.
  • Se una donna vaccinata scopre di essere in gravidanza subito dopo la vaccinazione, non c’è evidenza in favore dell’interruzione della gravidanza.
  • Se una donna scopre di essere in gravidanza tra la prima e la seconda dose del vaccino, può rimandare la seconda dose dopo la conclusione della gravidanza, eccezion fatta per i soggetti ad alto rischio.
  • Le donne che allattano possono essere incluse nell’offerta vaccinale senza necessità di interrompere l’allattamento.

Su questo tema si sono espresse anche le società scientifiche italiane dei ginecologi (Sigo, Aogoi, Agui, Agite) in un position paper ad interim su “Vaccinazione anti Covid-19 e gravidanza”, condiviso dalle società scientifiche dei neonatologi (Sin), dei pediatri (Sip), di medicina perinatale (Simp), degli embriologi (Sierr) e della Federazione nazionale degli ordini della professione di ostetrica (Fnopo). In linea con l’Iss gli esperti precisano che, sebbene i dati disponibili sui vaccini siano derivati solo da studi su modelli animali e non siano disponibili dati di sicurezza ed efficacia nelle donne in gravidanza e allattamento, trattandosi di un vaccino con mRNA, cioè non un vaccino da virus vivo ed in cui le particelle di mRNA vengono rapidamente degradate, si ritiene che possano essere considerati sufficientemente sicuri nelle donne in gravidanza.

Il position paper evidenzia alcune indicazioni su come procedere, rivolte sia alle donne in gravidanza, sia agli operatori sanitari:

  • Le donne gravide che non hanno una storia recente di infezione da Covid19 e che hanno specifici fattori di rischio aggiuntivi, possono considerare favorevolmente di ricevere il vaccino da Covid19, che è eseguibile in qualsiasi epoca d. gravidanza.
  • Non vi sono controindicazioni all’esecuzione delle altre vaccinazioni – antinfluenzale ed antipertosse – raccomandate in gravidanza. A scopo prudenziale, in assenza di evidenza, si raccomanda di mantenere un intervallo di almeno 14 giorni tra i vaccini. nello specifico in prossimità del picco epidemico influenzale, a prescindere dall’epoca di gravidanza, le donne possono ricevere anche il vaccino antinfluenzale; in prossimità della 28° settimana, epoca in cui è raccomandato il vaccino anti-pertosse, possono ricevere anche tale vaccino.
  • Le donne che allattano e non riportano una storia recente di infezione da Covid19, possono considerare favorevolmente di ricevere il vaccino.
  • Le donne gravide che hanno riportato una storia recente di infezione da Covid19, possono comunque considerare di scegliere di essere vaccinate.

Poiché le evidenze disponibili indicano che una reinfezione è altamente improbabile nei 90 giorni successivi all’inizio dell’infezione, si suggerisce di differire la vaccinazione alla fine di questo periodo.

 

Articolo tratto da: Doctor33.it dell’11 gennaio 2021

 

Vaccini anti Covid-19, si in gravidanza e allattamento.

Ecco perché

 

La vaccinazione contro il Covid-19 non dovrebbe essere negata alle donne incinte e che allattano. A dirlo sono il Center for Disease Control and Prevention (Cdc), l’American College of Obstetricians ad Gynecologists (Acog) e la Society for Maternal-Fetal Medicine. Non solo, come indicato dal Cdc, non è necessario che chi prova ad avere un figlio smetta di farlo dopo aver ricevuto il vaccino a mRNA. Ad oggi sono 2 i vaccini che hanno ricevuto da parte della Fda, l’autorizzazione per l’uso di emergenza (Eua) e sono autorizzati anche in Europa e Italia: quella dello Pfizer-Biontech e quello di moderna.

“In base all’attuale conoscenza gli esperti credono che sia improbabile che i vaccini a mRNA costituiscano un rischio per le persone incinte o per i feti poiché non sono vaccini vivi” si legge nell’interim clinical consideration del Cdc. Stessa linea seguita dall’Acos per la quale il profilo di efficacia e sicurezza del vaccino a mRNA per le donne incinte sarebbe simile a quello osservato in quelle non in gravidanza. Tuttavia, entrambi ricordano che tali vaccini non sono stati studiati in donne in gravidanza (o che allattano). Per la febbre, o ad esempio, il dolore al sito d’infezione, si può ricorrere al paracetamolo, sicuro in gravidanza e che sembra non influire sulla risposta anticorpale dei vaccini contro Covid-19. Anche se per il Cdc le donne che rientrano nel gruppo a cui si raccomanda il vaccino possono parlare col proprio team clinico, prima della vaccinazione non è richiesto un confronto con un operatore sanitario. Per l’Acos le pazienti che la rifiutano dovrebbero essere supportate.

“Indipendentemente dalla loro decisione di riceve o non ricevere il vaccino, questi confronti offrono l’opportunità di ricordare ai pazienti, l’importanza di altre misure di prevenzione come il lavaggio delle mani, il distanziamento fisico e l’uso di una mascherina” scrive.

Anche la Society for Maternal-Fetal Medicine, che ha fornito risorse per medici e pazienti e che sostiene l’inclusione negli studi delle donne in gravidanza o in allattamento, suggerisce che gli operatori sanitari indichino che il rischio teorico di danni fetali con i vaccini a mRNA è molto basso. Per il Cdc va considerato il livello di trasmissione comunitaria di Covid-19, il rischio personale di contrarlo, i rischi di Covid-19 per il paziente e potenziali rischi per il feto, l’efficacia del vaccino, gli effetti collaterali e la mancanza di dati. Considerazioni simili sono indicate anche dagli autori di una review pubblicata a dicembre sull’American Journal of Obstetrics & Ginecology Mfm, i quali notano che esiste un rischio teorico di danno fetale da qualsiasi intervento medico non testato e quindi anche per i vaccini contro Covid-19.

 

Articolo tratto da: Doctor33.it del 12 gennaio 2021

Practice Advisory ACOG

Vaccinating Pregnant and Lactating Patients Against COVID-19

Covid-19 e ormoni: le donne sono più protette. Uno studio spiega perché

Gli ormoni femminili potrebbero offrire alle donne una protezione dal Covid-19, in particolare in gravidanza, secondo uno studio pubblicato su Trends in Endocrinology and Metabolism. Graziano Pinna, della University of Illinois di Chicago, ha voluto comprendere perché i sintomi di Covid-19, siano più frequentemente gravi negli uomini, e ha analizzato un eventuale ruolo di estrogeni e progesterone in questo contesto.

Tali ormoni, e il metabolita fisiologicamente attivo del progesterone, posseggono proprietà antinfiammatorie, sono in grado di variare la competenza delle cellule immunitarie, di stimolare la produzione di anticorpi e di favorire la riparazione delle cellule epiteliali respiratorie. Inoltre, inibiscono il recettore Ace2, tramite il quale il nuovo coronavirus si insedia nelle cellule umane. “Ho iniziato a pensare a un ruolo degli ormoni in Covid-19 a marzo, quando i primi casi clinici hanno dimostrato donne incinte positive che non avevano sintomi, ma che li presentavano intensificati, addirittura talmente gravi da avere bisogno di terapie intensive, subito dopo aver partorito” spiega Pinna. Il ricercatore ha osservato che l’aggravamento delle condizioni coincideva con un calo di estradiolo, progesterone e allopregnanolone. “Gli ormoni che aiutano a portare avanti la gravidanza, come il progesterone, sono 100 volte più concentrati nel terzo trimestre. Estradiolo, allopregnanolone e progesterone hanno tutti importanti funzioni antinfiammatorie e sono coinvolti nel sistema immunitario. Ciò suggerisce che le donne in gravidanza sono diventate sintomatiche dopo il parto, e in alcuni casi sono state ricoverate in terapia intensiva, proprio a causa del rapido calo di questi ormoni” prosegue Pinna. L’autore sottolinea che le donne in gravidanza hanno 15 volte meno probabilità di morire di Covid-19 rispetto alle altre. Questo fatto potrebbe spiegare non solo perché le donne hanno maggiore protezione da forme gravi della malattia, ma anche perché le persone più anziane, in cui gli ormoni sono ridotti a causa dell’invecchiamento, sviluppino forme più severe.

 

Articolo tratto da Doctor33.it del 01 dicembre 2020

HPV E MICROBIOTA VAGINALE

Le donne con una scarsa presenza di LATTOBACILLI o con predominanza di LACTOBACILLUS INERS hanno una probabilità da 3 a 5 volte maggiori di acquisire il virus dell’HPV e da 2 a 3 volte maggiori di HPV ad alto rischio. Mentre le donne a predominanza LACTOBACILLUS CRISPATUS risultano più protette dall’infezione e dalla persistenza di HPV.

Queste le conclusioni della review con metanalisi pubblicata su BJOG del 2020, “The vaginal microbiota HPV and cervical dysplasie: a sistemic review and network mete analysis”.

Oggi sappiamo quindi che, non è solo la presenza del virus a condizionare l’eventuale transizione verso una neoplasia del canale cervicale ma è anche la composizione del microbiota vaginale che potrebbe diventare un marcatore prognostico o un ulteriore indicatore di rischio.

SCIATICA: TERAPIA FISICA PRECOCE CONNESSA CON ESITI MIGLIORI

I soggetti con dolore lombare e sciatica di recente insorgenza che ricevono 4 settimane di terapia fisica, vanno incontro a meno disabilità nell’anno successivo a quelli che ricevono soltanto l’assistenza canonica.

Lo suggerisce una ricerca condotta su 220 soggetti presentati in medicina di base per un controllo iniziale per sciatica della durata inferiore a 90 giorni.

Come affermato dai ricercatori, i medici di base devono ricevere il messaggio di suggerire una terapia fisica precoce come opzione sostitutiva o integrativa all’uso di oppioidi.

Il protocollo di terapia fisica proposto consiste in 8 sessioni nell’arco di 4 settimane.

I pazienti devono effettuare esercizio fisico specifico, da eseguire anche al proprio domicilio, oltre alle sessioni con personal trainer.

Molto utili si sono rivelati MASSAGGI SPECIFICI DECONTRATTURANTI e suggerimenti posturali.

Da tutto ciò il paziente trae beneficio sia in termini di dolore lombare che di funzionalità.

IL POTERE DEL MASSAGGIO

Il Tatto è un senso, in periodo Covid ci siamo abituati alle distanze, ma quanto ci mancano gli abbracci?

Il sentire l’energia dell’altro è un bisogno primario, è espressione di affetto ma anche cura. Da ciò possiamo dedurre quanto possano essere terapeutici i tocchi associati al massaggio.

Durante il massaggio viene rilasciato l’ormone della felicità l’ENDORFINA.

Inoltre il massaggio delicato può contribuire a ridurre la pressione arteriosa e a rafforzare il sistema immunitario. E’ un tocco benefico che partecipa in maniera evidente e scientificamente provato al mantenimento dello stato di salute.

La manipolazione riduce drasticamente i livelli di arginina vasopressiva, un ormone che è coinvolto nei comportamenti aggressivi.

Il cortisolo stesso, ormone dello stress, viene ridotto drasticamente durante la manipolazione così come si riducono molte citochine infiammatorie.

NON E’ SOLO UNA COCCOLA, E’ TERAPIA.

 

SU PUB MED 15.632 risultati su Massage Therapy

 

per info:

STUDIO MATTI/BECCARIA

Via Volturno, 33 Voghera (PV) 27058

Per app. tel. 3667401308 dal lun. al ven. 14.30/18.30

VITAMINA D E MORTALITA’ PER CORONAVIRUS

tratto dal sito internet Dr. Massimo Spattini – 07 ottobre 2020

 

Il sunto di quanto più dettagliatamente sarà spiegato è il seguente: se si finisce nel reparto di terapia intensiva perché si è stati infettati dal coronavirus, le possibilità di sopravvivenza sono migliori se si possiede uno stato di vitamina D ottimale.
Ciò è stato evidenziato da diversi studi tra cui anche uno italiano recentemente pubblicato sul Journal of Endocrinological Investigation.
Nello studio italiano, i ricercatori descrivono 42 pazienti con coronavirus che sono stati ricoverati a marzo e aprile 2020 nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale universitario dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”.
I ricercatori hanno misurato la concentrazione di vitamina D nel sangue dei soggetti del test. Quasi un quarto di loro – il 24 per cento per l’esattezza – aveva una grave carenza di vitamina D.
I ricercatori hanno diviso i partecipanti allo studio in 4 gruppi, separati in base ai loro livelli di vitamina D, e hanno esaminato se e come i gruppi differivano in modo significativo l’uno dall’altro.

Per quanto si è visto non vi erano differenze significative se non per la vitamina D.
Ma perché una carenza di vitamina D rende più vulnerabile l’uomo all’infezione da Covid-19?
Questo virus spegne le cellule immunitarie che indeboliscono le risposte immunitarie quando il virus viene sconfitto.
Di conseguenza, le risposte immunitarie possono “deragliare” dopo un’infezione di corona, provocando talvolta la morte.
Per questo motivo i ricercatori hanno ipotizzato che un buono stato di vitamina D può ridurre il rischio di queste reazioni immunitarie estreme.
I ricercatori hanno confrontato le possibilità di sopravvivenza del gruppo con carenza maggiore di vitamina D con quelle degli altri partecipanti allo studio.
Dopo 30 giorni, la metà dei pazienti con grave carenza di vitamina D era morta.
Concludendo, poiché spesso non si riesce a coprire il fabbisogno giornaliero di vitamina D, sarebbe bene assumere questa vitamina mediante una specifica integrazione.

 

 

 

Fonte : J Endocrinol Invest. 2020 Aug 9;1-7. doi: 10.1007/s40618-020-01370-x. Online ahead of print

MICROBIOTA VAGINALE

La salute umana è strettamente e dipendente da una relazione simbiotica tra esseri umani e batteri.

Il progetto per lo studio del MICROBIOTA UMANO nasce nel 2007. L’interesse verso la caratterizzazione batterica del sistema genitourinario deriva dal fatto che l’equilibrio dei simbionti presenti a livello vaginale condiziona alterazioni quali: infezioni, cervico-vaginiti, infezioni post chirurgiche ecc. Molte diversità del microbiota vaginale comunque, possono essere considerate normali e non rappresentato necessariamente uno stato patologico.

Il microbiota vaginale è dominato da diverse specie di LATTOBACILLI che aiutano a prevenire le infezioni vaginali producendo acido lattico, perossido d’idrogeno, peptidi antimicrobici e competendo con altri batteri. Gli studi genomici dell’ambiente microbico vaginale hanno evidenziato la dominanza di uno o due specie di LATTOBACILLI la maggior parte dei quali si riconosce in:

  • LACTOBACILLUS JERSENIL
  • LACTOBACILLUS INERS
  • LACTOBACILLUS CRISPATUS
  • LACTOBACILLUS GASSERI

 

Una parte di dinne asintomatiche e sane ospitano in vagina: PREVOTELLA, GARDNERELLA, ATOPOBIUM, MEGASPHAERA.

Molti fattori inoltre influenzano la composizione del microbiota vaginale all’interno della stessa donna: il ciclo mestruale, l’attività sessuale, l’età con le conseguenti variazioni ormonali (adolescenza/menopausa), la razza.

Una riduzione dei lattobacilli vaginali con una crescita di batteri anaerobici è alla base della VAGINOSI BATTERICA che è considerata la causa più comune della vaginite nelle donne sessualmente attive. Dal punto di vista ostetrico la VB (vaginosi batterica) è associata a molte complicazioni tra cui aborto e parto pretermine. Più controversa è l’implicazione della VB nell’infertilità. Un gruppo italiano di ricercatori è riuscito a correlare statisticamente categorie di microbioti denominati COMMUNITY STATE TYPES (CST) con i casi di infertilità SINE CAUSA suggerendo che tale correlazione potrebbe essere imputata alla produzione e al rilascio di lattato.

I risultati confermano i dati di bontà microbica riferibili a L. CRISPATUS ma aggiungono anche elementi a favore di L. INERS. Effetti negativi avrebbero invece cluster con dominanza di L. GASSERI.

Da ciò si deduce che la possibilità di definire in maniera corretta la genomica del microbiota vaginale può essere uno strumento fondamentale nelle mani del ginecologo per meglio accompagnare le donne nel loro percorso di fertilità.

 

Tratto da: BATTERI INTESTINALI, DONNA, FERTILITA’ E VITA

MASSIMO COCCHI E MATTEO PILORASI

e da: ARGOMENTI DI TERAPIA BATTERICA (2° EDIZIONE) FRANCESCO DI PIERRO